Negli ultimi tre anni gli sbarchi in Italia sono quasi triplicati nel periodo che va dal 1° gennaio al 4 agosto: dai 14.832 nel 2020 ai 42.464 dell’anno corrente, fonte ministero dell’Interno.
Sono dati incontrovertibili, eppure si prestano a una opposta interpretazione: l’incapacità di contenere gli arrivi, e perciò il rischio dell’insicurezza. Oppure la possibilità di governare un fenomeno in forte, ma non allarmante crescita per un popolo di 60 milioni di italiani, e perciò la strategia della gestione con buonsenso.
Tra l’uno e l’altra, fra la paura e la previdenza, certo è che l’immigrazione fa già parte della campagna elettorale. Anche simbolicamente, come testimonia il viaggio di Matteo Salvini a Lampedusa, dove il centro di accoglienza e identificazione degli immigrati è in perenne difficoltà, e il leader della Lega s’è rifugiato nell’amarcord: “Con me al Viminale c’erano meno morti e meno sbarchi, meno reati e meno problemi”. L’ex ministro sogna di tornare a occuparsi del tema e di affidare a “un Figliuolo o un Bertolaso”, cioè a un commissario, la gestione dell’immigrazione.
Anche Giorgia Meloni, la più accreditata candidata del centrodestra a Palazzo Chigi, rilancia l’idea di un “blocco navale con missione europea” per fermare i barconi dalla Libia e chiede di distinguere il diritto del rifugiato “da chi è invece immigrato irregolare”. Interpellato sulla questione, pure il premier Mario Draghi non s’è tirato indietro: “Credo che il governo abbia lavorato bene sui migranti”.
Punti di vista diversi su un tema che guerra, pandemia e Piano di ripresa avevano cancellato dall’agenda politica, ma che, a prescindere dall’approccio già elettorale del Salvini lampedusano, tutti i partiti farebbero bene a indicare come affrontare nei loro programmi.
Se i dati degli sbarchi si prestano a contrapposte letture, non può esserci divisione sul dovere di richiamare tutta l’Unione europea al dramma umano che si consuma nel Mediterraneo. E forse rispetto agli anni della cinica indifferenza e dell’Italia lasciata sola, ora ci sono segnali incoraggianti e solidali. Il “muro di Bruxelles” si sta sgretolando. Da quelle parti cominciano a capire che Lampedusa non è più un’isola: è il primo territorio d’Europa. Né può esserci distinzione fra politica del rigore e della compassione. Controllo e accoglienza non si escludono a vicenda, ma sono due rovesci della stessa medaglia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi