Se un presidente uscente di Regione viene riconfermato dagli elettori, c’è poco da “interpretare”: significa che, per la maggioranza dei suoi amministrati, quel governatore s’è comunque guadagnato il diritto al bis. Non c’è dietrologia che tenga di fronte all’aritmetico giudizio della gente.
Ma dato a Marsilio quel che è di Marsilio, come si chiama il rientrante governatore di destra in Abruzzo col 53,5% dei consensi, quest’ultimo voto dopo il precedente in Sardegna (che aveva premiato, al contrario, la candidata del centrosinistra), aveva acquisito un peso politico particolare.
Rischiava non solo Marsilio, ma la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, di cui l’appena proclamato vincitore è un fedelissimo.
Sull’onda del trionfo a sorpresa in Sardegna, e per il rotto della cuffia, il Pd e il M5S contavano di aprire la breccia nella maggioranza di governo. Infilando un possibile successo elettorale tra le ferite sarde del centrodestra e tra i conflitti veri, presunti o latenti della leader di Fdi, Meloni, col leader della Lega, Salvini. La presidente e il vice dell’esecutivo.
Invece la tempesta imperfetta (non le regionali di ieri o di domani, ma le prossime europee potrebbero, semmai, avere un effetto sul governo), s’è fermata all’Aquila. E il nascendo “campo largo”, cioè l’insieme di tutte le opposizioni contro il centrodestra, non ha galvanizzato gli elettori. Specie quelli del M5S, visto che la matematica, implacabile scienza della politica, ha punito con severità il partito di Giuseppe Conte (dal 24% delle precedenti regionali al 7) e, allo stesso tempo, incoraggiato il Pd di Elly Schlein: il 20,3%, quasi il doppio dei consensi di 5 anni fa. Chi ascende e chi crolla, e insieme non battono il centrodestra. A conferma che non sono le formule, ma i programmi e i candidati a determinare le scelte degli italiani.
Nella maggioranza vince Giorgia Meloni, che si era spesa anche di persona per evitare una per lei insidiosa sconfitta di Marsilio. E sale Forza Italia con Antonio Tajani, che quatto quatto torna a sorpassare la Lega, come in Sardegna. Significa che Salvini è il “miglior perdente” dei vincitori. Significa, dunque, che la partita sul terzo mandato, che in Veneto consentirebbe la ricandidatura di Luca Zaia, e la politica spesso dissonante della Lega per farsi sentire nella coalizione, hanno disorientato una parte dei suoi elettori.
Ora Salvini dovrà acquisire un buon risultato per Strasburgo, a giugno. Guai a farsi superare da Tajani, cioè finire da terzo incomodo messo all’angolo dalle polemiche sul terzo e mancato mandato -se così sarà-, e su una leadership nella Lega giudicata troppo oscillante, nonostante l’attivismo di Salvini anche da ministro dei Trasporti.
Dall’Abruzzo il segnale è chiaro: il vento continua a soffiare a destra.
Ma gli equilibri interni si stanno spostando, tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova