Ma era proprio necessario vedere quella cabina in arrivo alla funivia del Mottarone per poi sobbalzare all’improvviso, tornare rapidamente indietro e precipitare nel vuoto? Che cosa aggiunge al sacrosanto diritto-dovere di essere informati il video che mostra gli ultimi istanti degli ignari 15 passeggeri (sia pure, almeno quello, con i loro volti oscurati), inghiottiti dalla tragedia? Qual è il confine fra conoscenza e morbosità, tra condivisione del dolore e la sua spettacolarizzazione, fra il rispetto per la morte almeno quanto quello per la vita?
Sono tutti interrogativi purtroppo non peregrini, dopo che il Tg3 -peraltro ripreso da altri telegiornali e siti- ha mandato in onda le immagini-choc dell’incidente del 23 maggio scorso. Immagini che fanno parte dell’inchiesta e che hanno indotto la stessa Procura di Verbania a diffondere una nota per sottolineare l’”assoluta inopportunità della pubblicazione” delle drammatiche sequenze “per il doveroso rispetto che tutti siamo tenuti a portare alle vittime, alle famiglie, a un’intera comunità”.
Ma il primo a essere “profondamente colpito” dalle immagini trasmesse è il presidente della Rai, Marcello Foa, che invita il servizio pubblico a “riflettere su tutte le implicazioni” dell’accaduto.
Mentre infuria la polemica politica e parlamentari di opposto orientamento, dal Pd alla Lega, si dicono sgomenti per la messa in onda del video, bisogna ricordare che l’angoscioso dubbio (trasmettere per onore di verità o non farlo per rispetto di tutte le sensibilità?), non è nuovo né riferibile alla sola informazione italiana.
Sono ancora forti le immagini in eurovisione, quattro giorni fa, del centrocampista dell’Inter e della Nazionale danese, Christian Eriksen, mentre barcolla e cade nel campo da gioco per un arresto cardiaco durante la partita dell’Europeo con la Finlandia. Salvato per un soffio dalla morte, è stato subito circondato dai suoi colleghi calciatori per consentire ai medici di intervenire senza l’intrusione di telecamere.
E che dire del Ponte Morandi crollato con 43 morti il 14 agosto 2018, con tanto di video e perfino audio (“oh Dio, oh Dio…”, si sente dire a chi osserva: anche il terrore in diretta) che fecero il giro del mondo?
La verità è che la società del selfie, l’epoca del “video dunque sono”, cioè delle immagini sopra ogni altra cosa, rendono ancora più attuale un dibattito antico, che rischia di restare ancora senza risposta.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi