Se un indizio è solo un indizio, ma tre indizi costituiscono una prova -come diceva la regina dei gialli, Agatha Christie-, l’ultima svolta a destra in Olanda arriva dopo quelle già registrate in Finlandia e in Svezia: la prova che non di un atto estemporaneo si tratti, cioè di elettori “in libera uscita” che scelgono formazioni radicali pronti, però, a tornare a casa dei partiti tradizionali, bensì che un nuovo fenomeno s’aggiri per l’Europa profonda. E proprio partendo da quel Nord che sembrava vaccinato da ogni tentazione populista. Al punto da essere considerato una bussola geopolitica di coalizioni progressiste, verdi, socialdemocratiche.
Che è successo, allora, se un cittadino su quattro nei Paesi Bassi, sulla scia dei finlandesi e degli svedesi (ma si potrebbe aggiungere dei bulgari, dei greci e, pur con differenze, anche degli italiani), si fida e si affida a chi promette di “restituire l’Olanda agli olandesi”, secondo lo slogan vincente di Geert Wilders, fondatore e leader del Partito della Libertà?
Lui è un leader dai capelli tinti, ma dalle parole dure. Da anni vive sotto scorta, perché il suo nazionalismo è alimentato dal “no ai migranti, alle scuole islamiche, al Corano e alle moschee”, inevitabilmente suscitando grandi polemiche e forti contrasti. Anche se oggi ha ammorbidito il suo estremismo, e forse per questo è diventato il primo partito del Paese.
L’un tempo isolato e sempre antieuropeista Wilders ora può diventare ago della bilancia non solo del nuovo governo olandese tutto da costruire, ma anche di quel vento radicale di destra che spinge Viktor Orban, Marine Le Pen e Matteo Salvini a complimentarsi con il vincitore non a sorpresa. Almeno per gli osservatori che mettevano in guardia sul disagio di una fetta crescente della società europea per l’immigrazione incontrollata e per quella parte di Islam restio all’integrazione e con tratti violenti.
Problemi veri e seri e non soltanto “percepiti”, come sostiene, non solo a sinistra, chi fatica a immedesimarsi con i sentimenti popolari. Sentimenti che, se restano incompresi e non governati dai partiti con responsabilità istituzionali nell’Unione europea, diventano facile preda del Wilders di turno. Che sa trasformare in paura, cavalcandola, ciò che invece richiederebbe accortezza, buonsenso ed equilibrio dai governanti l’Ue.
Che poi questo succeda a 6 mesi dal voto per Strasburgo (maggio 2024), è solo un altro indizio di quanto la coalizione popolar-socialista dovrà faticare per riaffermarsi alla guida di Bruxelles al riparo dal vento del Nord.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova