Dopo l’attentato del 7 gennaio a Parigi, e quell’universale “siamo tutti Charlie”, riecco la Danimarca ripiombare nello spettro del terrorismo. Copenaghen, la capitale, è stata di nuovo colpita da un attacco a mano armata, mentre in un bar si svolgeva un convegno che proprio alla libertà d’espressione e all’Islam era dedicato. Un morto e almeno tre feriti in una sparatoria all’impazzata. Ma non casuale: da un decennio quel Paese con i suoi disegnatori -c’è sempre una vignetta di mezzo-, è nel mirino della violenza fondamentalista. Vietato anche far sorridere, è il macabro avvertimento del fanatismo jihadista.
Sparano da Parigi a Copenaghen, eppure la minaccia non viene solo dal lontano Nord, né riguarda soltanto il principio non negoziabile della libertà d’opinione. Che può essere portata in tribunale, se ritenuta diffamatoria, mai però assassinata. Tanto meno nascondendo il crimine dietro un presunto paravento divino.
Ma per noi italiani la minaccia è più vicina di quanto possa sembrare e viene soprattutto dal Sud. Viene dalla Libia in preda all’anarchia. Ormai siamo rimasti l’ultimo e probabilmente unico Paese europeo a tenere un filo di rapporti politici, economici e umani con una terra in balia del terrorismo. Tutti scappano, perché in Libia regnano il caos e l’insicurezza. Cellule dell’Isis, tristemente famose per la ferocia con cui decapitano innocenti, e bruciano vivi i “nemici”, e li filmano, già operano tra Bengasi e Tripoli. E le autorità libiche, peraltro fragili e divise, difficilmente riusciranno a reggere l’urto.
“L’Italia è pronta a combattere in Libia in un quadro di legalità internazionale”, ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, subito attirandosi dalla radio del “Califfato” l’accusa di guidare una nazione “crociata”. Un intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite, dunque, perché il rischio del terrorismo è dietro l’angolo. Quel rischio mina anche l’interesse nazionale del nostro Paese nell’avere relazioni di pace e stabili con un territorio che sta diventando, di fatto, ingovernabile.
Sono mesi, in realtà, che gli osservatori più acuti avvertivano: attenzione alla Libia. Dalla quale, peraltro, noi vedevamo la conseguenza più disperata, perché quasi tutti i barconi dei migranti partono da lì.
Ma il solo pensiero che Tripoli possa finire nelle mani dell’orrore chiamato Isis, è sufficiente perché Roma richieda la mobilitazione del mondo che alla libertà non intende rinunciare. E che vuole impedire al terrorismo di governare alle porte di casa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi