Per capire quanto può far male il sorpasso dei pensionati sui lavoratori per il futuro dell’Italia, basti il raffronto. Negli Stati Uniti il rapporto è di 3 occupati per 1 a riposo, in Germania di 2 a 1, in Francia quasi altrettanto. Così l’aritmetica rende sostenibile la previdenza.
Se invece, come lo studio della Cgia certifica, i cittadini in quiescenza superano quelli in attività sull’onda dirompente del Covid 19 che in questi mesi ha causato un calo dei lavoratori effettivi e la rimonta dei pensionati, l’interrogativo è molto semplice: di questo passo, chi pagherà il diritto dei nostri figli e nipoti ad usufruire dello stesso trattamento guadagnato e meritato dalle generazioni precedenti?
Ma soprattutto: se si rompe l’equilibrio nel sistema che ha garantito il naturale ricambio tra lavoro e pensione, quanto sarà stimolata a osare e innovare una società destinata all’invecchiamento?
Sono i quesiti che si pongono, inascoltati, gli istituti di ricerca e i centri-studi delle associazioni. Ma la sfida non è sociologica né accademica: è politica. Spetta alla classe dirigente nel suo insieme dare una risposta, oggi e subito, al grido d’allarme di chi disegna il domani con dati inequivocabili. Che combaciano, oltretutto, con due realtà, una positiva, l’altra negativa: l’aspettativa di vita s’allarga e perciò l’invecchiamento della popolazione è nelle cose. Ma a fronte di questa bella circostanza (l’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone anche grazie a uno stile di vita e a un’assistenza sanitaria di prim’ordine, come proprio la battaglia medica e ospedaliera contro il virus ha confermato), ecco il rovescio della medaglia: abbiamo una denatalità fra le più basse dell’universo. Impietosa, anche qui, l’aritmetica: 1,2 figli per donna, quando il minimo per assicurare la continuità generazionale è 2. Il terzo Paese dell’Unione europea per popolazione non cresce allo stesso ritmo di tutti gli altri.
Il governo e il Parlamento devono guardare ben oltre i tanto evocati fondi europei per la ripresa che serviranno solo per dare una scossa all’economia depressa. E’ invece urgente un “piano Italia” per incentivare le nascite (aiuti alle famiglie, crediti bancari, asili nido, vera parità di genere) e per rilanciare il lavoro. Da troppo tempo manca una visione per l’Italia del dopo-domani, dando speranza ai giovani. Il Paese dei nonni ha bisogno delle culle piene e non vuote, e di una feconda politica di pensiero e azione.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi