Né applausi né polemiche. Forse è il silenzio il vero conforto che un’intera e felice comunità, nazionale e milanese, può offrire nell’accogliere il ritorno di Silvia Romano a casa. Dopo 18 mesi di un rapimento in Kenya e di una prigionia in Somalia che noi già abbiamo dimenticato. Solo per lei, unica vittima, resteranno per sempre.
Ma la società dell’eterno spettacolo che butta in piazza e in politica perfino sentimenti tanto profondi e solitari, imponendo a tutti di vivere in diretta e di giudicare in differita quel che non si può comprendere senza averlo tragicamente sperimentato, ha già trasformato la liberazione di Silvia in una contesa fra chi con senso paterno la considera “nostra figlia” (così il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti) e chi la riempie di insulti in rete per la sua conversione all’Islam. “Chiamatemi Aisha”, ha detto la ragazza nel vortice di una storia molto più grande delle sue pur forti spalle e del suo sorriso bello e amaro. Ma forse Maometto c’entra poco. Lasciate Silvia in pace, con la tranquillità e il tempo necessari per ritrovare se stessa col nome, i panni e la fede che vorrà.
Certo, non ha contribuito a rasserenare le polemiche lo spot con cui massimi esponenti del governo -Conte e Di Maio- si sono precipitati all’aeroporto per farsi un selfie di benvenuto con la giovane spaesata. C’era bisogno di sottolineare l’ovvio, ossia che il governo e i servizi segreti hanno fatto il loro dovere?
Tutto è bene quel che finisce bene. Ma per il futuro bisogna cambiare. Ragazze e ragazzi che coltivano il sogno più umano che ci sia -aiutare gli altri-, devono essere ben consapevoli dei rischi che corrono nelle aree infestate di terrorismo o criminalità. Se loro sono ingenui, intervengano i genitori. Se le famiglie non sanno, si rivolgano alle istituzioni per informazioni sicure sulle associazioni che si dedicano ai dimenticati dell’universo. Non tutte le Ong hanno le accortezze, le strutture, le esperienze di Emergency o Medici senza frontiere.
E poi attenzione: se il pericolo non lo si previene, ma si è costretti a farvi fronte di gran corsa per salvare le vite degli italiani sequestrati nel mondo (guai se così non fosse), il rischio sarà che i riscatti milionari finiranno per arricchire proprio le bande colpevoli dei rapimenti. Evitare, dunque, di mettersi in balia del drammatico paradosso.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi