Si dirà che la scena s’è già vista almeno tre volte. La prima quando Silvio Berlusconi subì il ribaltone di Umberto Bossi, il fido alleato del 1994. La seconda quando fu abbandonato nel 2008 da Pierferdinando Casini, a cui pure aveva offerto in precedenza la segreteria di Forza Italia. L’ultima e più celebre rottura è anche la più recente, risalendo al “che fai, mi cacci?” che Gianfranco Fini, altro possibile delfino alla guida del centro-destra, pronunciò nel 2010 contro il Cavaliere. Uno dopo l’altro e in epoche diverse i tre pesi massimi delle forze coalizzate o addirittura integrate nel grande partito berlusconiano, hanno lasciato il Capo al suo destino. Ma era un destino molto diverso dall’attuale, perché Berlusconi governava o era il simbolo di un’opposizione che faceva l’opposizione nella speranza, sempre realizzata, di tornare di lì a poco a palazzo Chigi.
Invece i litigi e gli strappi di oggi, che hanno fatto sbottare il leader di Forza Italia col rimprovero, forse più amaro che offensivo, di “slealtà” rivolto ai suoi critici e a chi l’ha appena lasciato -come Sandro Bondi, che a Berlusconi arrivò a dedicare addirittura una poesia-, hanno un sapore molto diverso. E non solo perché dall’altra parte della barricata, o quasi, non ci sono politici come Casini, Fini o il pur riconciliatosi Bossi, essendo Raffaele Fitto l’assai più modesto contestatore del momento. Suona differente il botta e risposta coi dissidenti odierni perché sono cambiati il Capo e l’epoca. Lui, il leader che ha appena concluso i servizi sociali e che è uscito assolto definitivamente dal processo-Ruby, in teoria si troverebbe nella condizione possibile per “ripartire”. Ma in concreto si sta ventilando la vendita del Milan, a cui il presidente onorario è più affezionato che a Forza Italia. In concreto l’uomo è costretto a “legarsi” -da Lega, appunto- a Matteo Salvini per non perdere il treno del voto regionale. In concreto ha davanti a sé la prospettiva di doversela vedere, un giorno non troppo lontano, con Matteo Renzi. E anche un riconosciuto combattente come Berlusconi comprende quale ardua impresa sarebbe. Proprio nel momento in cui l’ex presidente del Consiglio può tirare un sospiro di sollievo e tentare di rimettere il centro-destra in cammino, tutti i nodi arrivano al pettine. Dalla terra bruciata che Berlusconi ha fatto dentro la sua stessa area politica, alla gestione padronale che non ha prodotto alcun successore interno, né incoraggiato un esterno. Siamo in primavera, ma è l’autunno del patriarca.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi