Forse siamo arrivati al nocciolo della “questione romana”, come all’epoca del Risorgimento si invocava il ruolo della capitale d’Italia e non più sede temporale del Papa. Tramontati i grandi ideali di ieri e risolto da tempo il rapporto del Vaticano con la sovrana Repubblica italiana grazie ai Patti Lateranensi inseriti nella Costituzione, ora la città è nuda e cruda. Roma, che per il mondo intero vuol dire Amor all’incontrario, non è mai stata così sporca, degradata, mal amministrata di Giunta in Giunta. E quando si tocca il fondo, emergono anche le verità più gravi. Il Ragioniere generale del Comune, Stefano Fermante, sarebbe pronto a gettare la spugna, dopo aver indicato ciò che tutti vedono, ma nessuno come lui, l’uomo chiamato a fare i conti per dovere istituzionale, aveva ancora denunciato. La città è sull’orlo del baratro economico e finanziario, è il suo allarme messo nero su bianco in venti pagine di cifre e di dolore. Questo avviene mentre la Procura chiede tre anni di carcere per l’ex sindaco Ignazio Marino, accusato di peculato e falso per l’uso improprio della carta di credito che gli aveva assegnato l’amministrazione capitolina, e di concorso in truffa per una precedente e presunta vicenda di compensi destinati a collaboratori fittizi. “Mai fatto illeciti”, replica l’interessato. Ma al di là delle inchieste, delle polemiche per il no grillino alle Olimpiadi confermato dal Consiglio, della “perdita dei pezzi” della Giunta-Raggi ad appena tre mesi dall’insediamento, è l’immagine complessiva della città ad uscirne devastata. L’addio del Ragioniere Generale del Campidoglio (“ma noi non ne siamo informati”, frena o forse spera il governo capitolino), è il dito nella piaga. E’ la rappresentazione delle cause chiare e profonde della “questione romana”, oggi. Che non è solo questione politica e organizzativa -i servizi pubblici peggiori d’Europa per una capitale sono concentrati qui-, ma economica. E’ il dissesto la madre di tutte le inadempienze. E’ la cronica incapacità di saper fare bilanci col rigore di una qualunque famiglia italiana, e nonostante il fiume di denaro che scorre nella città del Tevere, ad aver infettato Roma e alimentato la corruzione. “Mafia capitale” si chiama, non a caso, l’indagine che svela il sottobosco dell’illegalità. La rivolta morale e legale -sembra il monito del Ragioniere, pur Generale-, faccia sua l’unica utopia che in questo disastro ancora “conti”: i conti in regola.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi