Fu lui a dare il nome al lago più grande del Paese, prima di diventare a sua volta il nome del ghiacciaio più intrigante del pianeta. “Da oggi ti chiamerai Lago Argentino”, disse Francisco Pascasio Moreno, ché vedeva nel turchese delle acque e nei bianchi pezzi di ghiaccio del piccolo mare, il grande riflesso della bandiera nazionale. E poi amava la sua terra.
Fu nominato perito nella controversia di frontiera col Cile, e alla fine il perito Moreno guadagnò alla causa più di quarantamila chilometri quadrati. “Perito Moreno”, dunque, era la riconoscenza della sua gente battezzata sul ghiaccio più azzurro della Terra. Riconoscenza per quello studioso che era stato rapito dagli aborigeni, ma che non serbava rancore; per quell’esploratore che accompagnava Theodore Roosevelt, già presidente nord-americano, a visitare la Patagonia sud-americana (1912); per quel viaggiatore col pizzetto e baffi a manubrio, amico e compagno di lavoro del naturalista Clemente Onelli, italiano di Roma a cui sarà intitolato un altro e vicino ghiacciaio. Ghiacciaio “Onelli”, e poi ghiacciaio “Spegazzini”, perché anche lo scienziato Carlos Spegazzini, italiano di Bairo (Torino) e studioso dei funghi, gli argentini hanno voluto collocare nel simbolico Pantheon del gelo che riscalda l’animo. “Il signor Spegazzini, un botanico dalla barba magnifica e dall’enorme abbigliamento, ha destato molta impressione tra i giovani…”.
Onelli, Spegazzini e, su tutti, il Perito Moreno, grattacielo rumoroso. Cadono dall’alto i frammenti dei non bianchi ghiacciai, perché troppo antichi per mostrare candore, e il condor che sorvola lontano, non grida. Da vero re delle Ande, lascia che siano questi pezzi di vetro blu a suonare, frantumandosi nell’acqua, il concerto più universale che l’Argentina possa offrire al mondo.
(Tratto dal mio libro “Se il mondo finisce qui”, Ideazione Editrice, Roma, 2004)