Volti e risvolti. Negli stessi giorni in cui la Francia andrà alle urne, a fine aprile, per tastare il peso di Marine Le Pen e della sua politica contro l’Europa accusata di non chiudere le porte all’immigrazione e di sottomettersi all’Islam, il Papa volerà in Egitto quasi per le ragioni opposte: tendere la mano ai rifugiati che dal Nord Africa si riversano sul Vecchio Continente e dialogare con quella parte del mondo musulmano che condanna la violenza. Una violenza jihadista che proprio in quel Paese ha preso i cristiani a bersaglio, ferocemente, ma che è tornata a colpire anche Parigi. Dove un francese di origine tunisina e religione islamica, Ziyed Ben Belgacem, con precedenti penali, è stato ucciso dalla polizia dopo aver seminato il panico all’aeroporto di Orly. Secondo le indagini, questo trentanovenne, che aveva rubato l’arma a una soldatessa, voleva morire in nome di Allah.
Non è facile, dunque, per Papa Francesco andare controcorrente rispetto al contesto di perdurante e giustificata paura che angoscia i popoli europei. E che, molto probabilmente, indurrà i loro governi a prendere decisioni più dure contro gli sbarchi e più drastiche contro il terrorismo nell’ormai imminente vertice di Roma per i sessant’anni dell’Unione. Non è facile, ma è una benedizione che lo faccia.
Intanto, perché il Papa, pur vivendo l’attualità in modo perfino fisico con gli abbracci, i moniti e un esempio di vita ad essi coerenti, non segue, per sua e nostra fortuna, l’agenda della politica. Il vescovo di Roma è chiamato alla fede e allo sguardo lungo sul mondo. Pertanto a comprendere che la convivenza dei non musulmani con l’Islam non è giusta o sbagliata: è imprescindibile. Se la politica ha il dovere di garantire sicurezza ai suoi cittadini, la religione cattolica, che è la più martoriata, ha il diritto di chiedere ai musulmani di farsi carico anch’essi del dolore cristiano. Ponti, anziché muri, significa attraversare il deserto di idee e di iniziative per condividere insieme la responsabilità di urlare che nessuno può uccidere in nome di Dio. Francesco sta seminando per il dopodomani, a costo dei non pochi problemi di ordine pubblico, e di polemiche politiche in loco, che la sua visita al Cairo provocherà. Ma la sfida non è solo disarmare chi attenta all’Occidente e ai suoi valori. La sfida è anche costruire l’universo che verrà, e che non potrà vivere di paura e pregiudizio per sempre. Nella difficile missione d’Egitto c’è un po’ del nostro futuro.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi