“Le quindici battute iniziali. Il segreto musicale della Cumparsita è tutto lì: nella melodia. Stravinsky diceva che la melodia è quella componente che non si può imparare in alcun conservatorio. L’opera di Matos Rodríguez è unica. Piace perché è semplice. Anche nella musica la cosa più difficile è essere facili”.
Parla Héctor Ulises Passarella, musicista e compositore uruguaiano che da tanti anni ha scelto l’Italia, la patria dei bisnonni, come terra della sua vita e arte. L’arte del tango, che lui insegna a suonare a colpi di bandoneón, il tipico strumento col quale fa il giro del mondo per concerti. Con un primato: ha fatto suonare ben otto “bandeononisti” insieme, cominciando dal figlio Roberto, italiano, che segue le orme del padre. “La Cumparsita -riprende Passarella- può essere divista in tre parti. La prima è quella accattivante, specie per l’epoca. Una melodia che, come “Libertango” in tempi più recenti, è diventata universale per il messaggio emotivo che solletica. Già la seconda parte della Cumparsita potrebbe non essere tutta farina del sacco di Matos Rodríguez. Quanto alla terza si sente la mano di Roberto Firpo, grande pianista di tango. Con un frammento di Verdi”.
Ma lei la suona spesso nei suoi concerti?
“Da Seul alla Germania, ma anche in ogni angolo d’Italia, La Cumparsita me la riservo sempre come “bis”. Un buon tango ha bisogno di tre cose: l’intuito melodico, l’interpretazione e l’arrangiamento. Per questo il lavoro di Matos Rodríguez con il prezioso apporto di Firpo colpisce l’anima di chi ascolta”.
Quanto c’è di italiano nel tango “rioplatense”, cioè argentino e uruguaiano?
“Moltissimo. Da Piazzolla a Manzi, a Troilo c’è una tradizione di oriundi che furono valenti musicisti, autori, compositori (io stesso fui allievo dell’italiano Guido Santorsola radicato in Uruguay). Il tango non è “musica triste che si balla”. E’ musica amara, ma dignitosa, perché riflette la storia degli emigranti italiani e dei loro discendenti in Sudamerica. Il tango è dignità e malinconia. Come diceva un compositore americano “è la musica popolare più colta al mondo”.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma