Pioggia e vento fortissimi, onde sopra i tre metri, ma Venezia, gioiello sul mare, è rimasta all’asciutto.
Quell’acqua alta che in altri tempi sarebbe stata -ed è stata- rovinosa per la città lagunare, e che stavolta aveva raggiunto livelli addirittura superiori allo storico 1966 con i suoi 194 centimetri di devastazione, s’è fermata davanti allo scudo del Mose. La tanto a lungo contestata e soprattutto ritardata opera di altissima ingegneria italiana ha fatto da baluardo al maltempo imperversante e il sindaco, Luigi Brugnaro, ha potuto tirare un sospiro di sollievo con i suoi abitanti per la città “finalmente protetta”.
Il Mose non è una buona notizia soltanto per i veneziani e i turisti salvati da danni e disagi sicuri dall’acqua che ha raggiunto i 204 centimetri. E’ la testimonianza che persino un centro abitato che vive sull’acqua, l’unico per dimensioni e bellezze nell’universo, può resistere alle tempeste che proprio sull’acqua fondano la loro invincibilità. A condizione, però, che le istituzioni decidano, e decidano di investire denaro, intelligenza e tecnologia nella prevenzione. Che non può ovviamente impedire i nubifragi, ma può evitarne gli effetti più gravi sulla popolazione.
Purtroppo non si può dire che la lezione veneziana sia stata appresa ovunque. Dal Lazio all’Abruzzo, alla Sardegna il ciclone Poppea, com’è stato battezzato col nome della seconda moglie dell’imperatore romano Nerone, ha provocato danni, imposto la chiusura delle scuole, creato allagamenti e caduta di alberi. Come al solito, esondato il Tevere.
Tutto come previsto, in un Paese che fatica a capire a ogni livello legislativo e amministrativo che c’è un solo modo per difendersi dalle emergenze: prepararsi in tempo e con cura ad affrontarle. A poco servono gli allarmi rossi o arancioni, a cui pure la Protezione civile ricorre sempre più per segnalare rischi in arrivo, se poi non si prendono le misure conseguenti a causa delle più svariate ragioni. Che vanno dalla disorganizzazione nell’ambito della catena di comando che dallo Stato discende alle istituzioni locali fino ai mancati lavori per rendere il rapporto fra uomo e ambiente più rispettoso e sicuro.
Col maltempo è difficile cavarsela semplicemente aprendo l’ombrello, ma è possibile, anzi, doveroso imparare a convivere con scelte oculate.
Che non spettano solo ai singoli cittadini: spettano alla politica.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi