Quanto potrà durare l’effetto incoraggiante della conferenza-stampa che in piena emergenza alluvionale Giorgia Meloni, presidente del Consiglio e Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, la Regione colpita, hanno promosso insieme per annunciare le decisioni del governo?
Quale sarà il risultato concreto dell’abbraccio e dei complimenti che la leader di Fdi e l’alto esponente del Pd si sono scambiati in pubblico?
E poi: come far valere l’esempio della destra e della sinistra, dello Stato e della Regione, di una donna e un uomo politicamente divisi su tutto, ma non sul dovere di reagire uniti alla catastrofe?
A giudicare dalle polemiche del giorno dopo, già vacilla l’intesa necessaria. Davanti all’ipotesi governativa di nominare lo stesso Bonaccini commissario per la ricostruzione, il centrodestra nel Consiglio regionale ha già detto “no, grazie”. Con ogni evidenza la sola “appartenenza” di Bonaccini allo schieramento avverso provoca l’allergia politica degli altri.
Non è purtroppo una novità, perché lo stesso approccio ideologico, anziché pragmatico, è stato fatto valere a parti invertite in passato.
Destra e sinistra si danno la mano al momento del disastro. Ma già un minuto dopo tornano a essere i guelfi e ghibellini che sono sempre stati.
Eppure, ci sono almeno due recenti metodi che dovrebbero insegnare ai contendenti la differenza tra interesse nazionale ed elettorale.
Il primo porta la firma del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quando si rese conto che il Parlamento non sarebbe più stato in grado di tenere in piedi un governo efficiente, anche perché nessuna coalizione era uscita vittoriosa dalle elezioni, chiamò il più bravo di tutti, Mario Draghi, a Palazzo Chigi. Senza sapere se pendesse più a destra o a sinistra ed espressamente chiedendo a tutti i partiti -a fronte dell’emergenza economica e sanitaria del Paese- di appoggiarlo oltre ogni differenza.
L’altro metodo viene proprio da Draghi. Davanti alla necessità di far vaccinare gli italiani -scelta rivelatasi vincente: abbiamo tutti appeso la mascherina al chiodo-, anche lui non tentennò e chiamò un generale, Francesco Figliuolo, a tale durissimo compito. Lo considerava la persona giusta al momento giusto, a prescindere dalle sue ignorate idee politiche.
Il giorno in cui la politica capirà che la Nazione viene prima della fazione, sarà un gran bel giorno per tutti. Soprattutto il giorno dopo l’emergenza.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi