Non è la prima volta che sul web si rovescia l’accusa d’essere uno strumento tanto onnipotente quanto invadente. Ma neanche Orwell col suo celebre personaggio del Grande Fratello “che vi guarda”, immaginando una società in cui ogni individuo è sotto l’occhio minaccioso e costante dell’Autorità, avrebbe pensato al rischio totalitario insito proprio nel canale della comunicazione più libero e alla portata di tutti nel mondo. E’ quel che sta accadendo col clamoroso caso Facebook-Cambridge Analytica, esploso sotto i potenti e preoccupati riflettori della grande politica sia in America, sia in Europa. Per il sospetto che siano stati “profilati” (come si dice in brutto gergo), più di cinquanta milioni di statunitensi, utilizzando i preziosi dati ricavati illegalmente -sottolineano gli accusatori- per influenzare almeno due campagne elettorali. La prima con l’elezione di Trump alla Casa Bianca. La seconda con la Brexit e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Correva per entrambe l’anno 2016.
Su Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore di Fb, premono soprattutto le autorità americane e inglesi: chiarisca subito se sono state infrante le regole nell’acquisizione delle notizie sulla vita dei cittadini, come sostengono due inchieste del Guardian e del New York Times e un pentito che parla della vicenda.
Alla bufera e al crollo in Borsa, Fb replica non per bocca di Zuckerberg, ma di un manager, dicendo che nessun furto di notizie è avvenuto, perché “la gente decide di condividere i dati con app e, se queste app non rispettano gli accordi con noi e con gli utenti, è una violazione”.
Ma nel frattempo ha oscurato la Cambridge Analytica, proprio la società nel mirino della generale contestazione.
L’ingarbugliata vicenda va al di là del pur grave sospetto e del botta e risposta senza precedenti tra chi esige immediate spiegazioni e l’importanza di Fb, la grande famiglia virtuale dell’universo. Come può rivelarsi tanto fragile e insicuro lo strumento principale del nostro stare al mondo, cioè in Rete? Che si può fare perché il racconto così personale degli utenti non diventi esca di propaganda, condizionando in modo illecito il fondamento stesso della democrazia?
Lo spionaggio politico sembrava relegato ai microfoni del Watergate piazzati qua e là. Ora scopriamo che a fare da microfono possiamo essere noi stessi, se nessuno ci protegge nella Grande Famiglia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi