Dei molti casi irrisolti per il governo, quello di Autostrade era il più scottante. Intanto, per la ferita ancora aperta dell’inaccettabile crollo del ponte Morandi a Genova, due anni fa. Poi per l’esasperazione che in questi giorni stanno vivendo gli automobilisti sulla grande rete stradale, alla mercé di tanti cantieri all’opera -e perciò code interminabili e insidiose doppie corsie una accanto all’altra tra chi va e chi viene-, che potevano essere tranquillamente programmati con soddisfazione dei lavoratori e dei conducenti quando i cittadini erano chiusi in casa per il coronavirus. Infine, il dossier era rischioso per le divisioni nella maggioranza fra chi auspicava la tabula rasa degli attuali amministratori, chi il ritorno della gestione statale magari affidata all’Anas, chi il commissario: tante idee, confuse ed estreme.
Ecco perché, almeno a prima vista, appare sensata la soluzione trovata a notte fonda dal Consiglio dei ministri dopo sei ore di discussioni e trattative con Autostrade a tratti descritte come infuocate, e fatto salvo che il giudizio vero potrà essere dato solo quando la complessa operazione sarà stata conclusa (non prima di un anno, pare).
Nessuna revoca, dunque, e niente contenziosi fra le parti. Fermo restando il doveroso giudizio in corso della magistratura, che dovrà accertare le responsabilità per i 43 morti del ponte crollato.
L’accordo prevede l’ingresso dello Stato con Cassa depositi e prestiti quale primo azionista. La famiglia Benetton, da vent’anni al timone, fa un decisivo passo indietro, scendendo gradualmente dall’attuale 88% al 10, e uscendo, così dal Consiglio di amministrazione. Si prevedono, inoltre, tariffe più basse, nuovi investimenti all’insegna della sicurezza e un traguardo finale da società pubblica con azionariato diffuso.
E’ un compromesso che rimette il pubblico al centro dopo le accuse ai privati per la gestione del Morandi, salva i posti di lavoro e promette un cambiamento di innovazioni e di controlli secondo un più adeguato e condiviso modello d’intraprendenza. Un mix che associa esigenze diverse, e che ha quantomeno il pregio d’evitare pasticciate e impotenti forzature. Poco importa se i litigiosi partiti di maggioranza ora rivendicano ciascuno il merito dell’accordo, o se dall’opposizione si parla, invece, di una vicenda “finita a tarallucci e vino”.
La realtà dei fatti imponeva una scelta del governo. E una scelta, sia pure con molto ritardo, da verificare e sempre migliorabile, è arrivata.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi