Il precedente non è incoraggiante. Alla fine dello scorso anno l’Italia aveva speso solo il 62 per cento delle risorse assicurate dai fondi strutturali europei della programmazione 2014-2020. Siamo finiti molto al di sotto della media europea, che è del 76 per cento, e penultimi nella classifica dell’Ue: peggio di noi unicamente la Spagna (57 per cento).
Dunque, anche il fattore tempo incide nei rapporti fra Roma e Bruxelles. Non solo bisogna spendere entro le date prestabilite ma, anche a fronte delle difficoltà incontrate strada facendo, non si possono rinviare all’infinito le scadenze sugli impegni presi con l’Ue.
Per noi l’ultimo campanello suonerà il 31 agosto, che è il termine “perentorio” -come ha chiarito la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Matilde Siracusano, in risposta a un’interpellanza del Pd alla Camera- per aggiornare il Piano di ripresa.
Si riferiva ai progetti del cosiddetto RePowerEU, che in realtà dovevano essere presentati entro aprile. Ma l’Europa ha concesso altri quattro mesi, anche perché l’Italia non è il solo Paese ad avere problemi con dati e date.
Come ha spiegato la sottosegretaria, l’aggiornamento richiesto riguarda interventi preziosi per l’economia nazionale: dalla sicurezza energetica al miglioramento della rete, dall’aumento della produzione da fonti rinnovabili agli incentivi per la decarbonizzazione delle imprese, alle misure per sostenere la filiera produttiva. Si tratta di riforme e investimenti di tipo infrastrutturale in linea con la strategia più verde e digitale in ambito energetico e tecnologico. E sappiamo quanto sia complicato nel nostro Paese cambiare nel profondo un sistema industriale che pur da tempo reclama interventi “strutturali”.
Ecco perché la scadenza “perentoria” accordata all’Italia, non può essere disattesa, visto che Bruxelles ha già dato prova -e il commissario europeo Paolo Gentiloni non perde occasione per ripeterlo-, di giusta pazienza.
Per il governo-Meloni il Pnrr in cammino ha perciò una valenza due volte importante. Rispettare gli impegni significa mantenere la parola data dall’Italia e dare testimonianza di credibilità politica a quanti -e in Europa non mancano mai-, non vedono l’ora di fare sorrisetti per i ritardi italiani.
E poi il prossimo passo per il Pnrr farà bene all’Italia e agli italiani.
E’ un appuntamento a cui il governo non può e non deve mancare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi