A sorpresa, la questione morale irrompe nella campagna elettorale. Doppia sorpresa, visto che degli odiosi privilegi della casta, causa principale dell’indignazione più trasversale che i cittadini abbiano registrato e condiviso negli ultimi anni, nessun politico parlava più. Ma visto, soprattutto, che il tema ora diventa una tempesta anche contro chi s’era fatto paladino della protesta all’insegna di ’”onestà, onestà!”.
I partiti polemizzano col Movimento Cinque Stelle, che aveva girato a un fondo di micro-crediti una buona fetta degli onorevoli stipendi percepiti in Parlamento e negli enti locali: all’incirca ventitré milioni di euro versati. Ora si scopre che non tutti gli eletti del popolo hanno fatto il loro sbandierato dovere. E che il buco dei rimborsi, cioè delle mancate restituzioni a volontario beneficio di imprese e lavoratori, sarebbe ben più grande di quanto paventato: forse un milione e oltre, l’ammanco. Di Maio, il candidato pentastellato alla presidenza del Consiglio, deve intervenire per promettere il pugno di ferro verso quei traditori dei principi fondanti del movimento che hanno ingannato gli elettori. “Se ci sono mele marce” -così le chiama- “le troveremo. E, come sanno gli italiani, da noi le mele marce si puniscono sempre”.
Al caso scottante dei rendiconti, s’aggiungono un’altra scoperta e un altro scontro infuocato: c’è un candidato già appartenente alla massoneria, tale Vitiello in Campania, che non potrebbe figurare in lista. “Non ci aveva detto che era iscritto a una loggia, gli abbiamo inibito il simbolo, per noi è fuori”, deve di nuovo precisare Di Maio, mentre le forze politiche avversarie accusano i pentastellati di incoerenza tra il dire e il fare. E il massone scovato, spiegando di non essere più iscritto alla loggia da un anno, li sfida tutti: non si ritirerà affatto.
Bufera in pieno corso, dunque. Ma sarebbe riduttivo liquidare il botta e risposta tra i Cinquestelle e gli altri -specie il Pd- col “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. E’ evidente, nel Palazzo da sempre alle prese con vicende da rimborsopoli e con candidature controverse, che non bastino le migliori intenzioni, le leggi severe e i comportamenti esemplari di molti, per sradicare un malcostume politico così antico e pervasivo. La politica ha il dovere di buttare via le mele marce. Ma soprattutto, e tutta insieme, di cambiare con atti e fatti un sistema di potere e di poltrone che fatica a separare il buono dal marcio.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi