Fra guerra e pace i diplomatici usano la formula più ecumenica per descrivere il drammatico stato dell’arte all’ultima frontiera d’Europa: “Cauto ottimismo”. La Russia è ancora e sempre lì, con uomini e mezzi che minacciano l’Ucraina. Tuttavia, l’Occidente si muove e adesso vuole prendere per buoni -almeno fino a prova armata contraria- i propositi di Putin. Il quale, affiancato nella conferenza-stampa dal cancelliere tedesco Sholz volato a Mosca per dissuaderlo a nome dell’Europa, dice che la Russia “non vuole la guerra” e avanza le sue proposte “per un processo di negoziato”.
Non siamo all’indietro tutta che la Nato reclama, cioè alla smobilitazione dell’ingente apparato militare che Zar Vladimir ha messo in campo per far valere le sue richieste nella speranza di dividere l’Europa due volte. La prima da se stessa, fra nazioni propense a privilegiare gli aspetti economici con la Russia rispetto a quelle in difesa del principio -occidentale per definizione- che nessuno può calpestare con i carri armati l’altrui libertà di decidere. Anche di decidere, nel caso ucraino, di orbitare di qua, anziché di là. “Non accetteremo mai la Nato ai nostri confini”, dice, invece, chiaro e tondo Putin. Con ogni evidenza è questo il terreno del possibile compromesso per salvaguardare insieme la pace e i principi.
Ma Putin confida pure nel diverso approccio fra Ue e Stati Uniti, tra chi punta alla mediazione finché possibile e chi paventa una già decisa invasione dell’Ucraina e perciò alza i toni della sfida e promette sanzioni pesanti. Non fare oggi a Kiev quel che domani la Cina potrebbe fare, se si lasciasse correre il precedente, con Taiwan: anche per questo l’allarme di Washington suona più forte che a Bruxelles. Comunque Biden rilancia: “Pronti a negoziare”.
Ma non è solo l’Ucraina a essere accerchiata. Anche Putin sa d’essere politicamente circondato dagli avvertimenti degli Usa da una parte e dal risveglio dell’Ue dall’altra. Proprio oggi Draghi, in continuo contatto con le autorità russe e ucraine, parteciperà a un vertice con Macron e Scholz a Parigi (e possibile collegamento video con Biden). Con ritardo, l’Europa ha capito che, quando il gioco si fa duro, sono i suoi leader principali a doversi ritrovare in fretta all’insegna di una strategia ferma e unitaria. “Aperture diplomatiche, ma segnali misti”, commenta il britannico Johnson. Con speranza e diffidenza: così gli europei accolgono i nuovi segnali di Mosca nella crisi in pieno corso.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi