Il tardivo, ma positivo risveglio dell’Europa, tutta insieme in rivolta contro la guerra di Putin in Ucraina, testimonia che non basta essere uniti in politica: bisogna anche essere autonomi nell’economia.
Per l’Italia la strada è obbligata e presenta due campi di eccellenza ed emergenza, l’agroalimentare e il settore delle nuove fonti energetiche.
Come “L’Arena” ha spiegato e raccontato, per puntare su soia, mais e quanto i cereali coltivabili in Italia possano darci, al posto del mercato ucraino-russo saltato per aria, l’Ue deve derogare alle norme anacronistiche che limitano la produzione italiana. Roma può e deve farsi sentire: i precedenti della pandemia e della guerra dicono che l’Ue, quando sollecitata, sa cambiare i propri ottusi parametri.
Stesso discorso, ma più casalingo, per potenziare le energie alternative al gas di Putin. Il caso degli impianti eolici ancora bloccati è analogo a quello dei cereali, ed è stato anch’esso sollevato dal nostro giornale.
Adesso s’attende il via libera del governo, che sarebbe in arrivo, per superare ritardi burocratici di anni, addirittura, e contrasti fra ministeri (Transizione ecologica versus Cultura) più surreali che reali. E’ ormai patrimonio acquisito da tempo e da tutti che economia e cultura vanno a braccetto. Tant’è che per le nuove energie s’aggiunge sempre l’aggettivo “sostenibile”.
Dunque, come rilanciare il Paese non a dispetto ma, al contrario, sull’onda della sua bellezza unica, ecco l’ultima sfida per il governo.
Ma nell’ora della guerra i tempi biblici non sono più consentiti.
In fondo si tratta solo di riprendere, aggiornandola, l’esemplare intuizione di Schuman, Adenauer e Degasperi quando, dando vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (la Ceca) nel 1951, essi capirono che dopo le rovine della guerra non era sufficiente condividere storie e memorie pur grandiose e secolari: bisognava anche affermare un futuro di libertà nel campo economico-siderurgico. All’epoca e a differenza di Francia e Germania, l’Italia non eccelleva sul carbone né sull’acciaio. Ma la nostra avveduta classe dirigente di allora comprese l’importanza del rimettersi insieme in cammino per risollevare l’economia. “Impossibile”, del resto, non è una parola italiana per il popolo più intraprendente dell’universo, se la politica lo mette in condizioni di cimentarsi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi