Governano insieme, ma sulle grandi opere convivono da separati in casa. L’ultima conferma di una strategia economica molto diversa fra Lega e Cinque Stelle, l’ha testimoniata Matteo Salvini, il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, nella sua visita di ieri a Verona tra Fiera Cavallo e Forum euro-asiatico. Proprio mentre la commissione Trasporti alla Camera dava l’addio, definendolo “inutile”, al progetto dell’alta velocità tra Venezia e Trieste, come chiedeva la relatrice pentastellata Arianna Spessotto ottenendo voto unanime, Salvini ha invece sostenuto l’importanza della Pedemontana che collegherà Montecchio Maggiore (Vicenza) e Spresiano (Treviso): “Non vedo l’ora di inaugurarla”, ha detto il vicepresidente del Consiglio su quest’arteria in costruzione. E anche se il confronto fra due prospettive differenti quali il treno super-rapido e la superstrada può apparire fuorviante, esso rende, però, l’idea dell’approccio opposto sul tema delle infrastrutture. Per il partito dell’altro vice-presidente, Luigi Di Maio, non è di norma prioritario e risulta costoso (“si risparmieranno sette miliardi e mezzo”, sottolineava la Spessotto sull’alta velocità), quel che per il partito di Salvini è, di principio, prioritario interesse nazionale a ogni costo: dar seguito ovunque necessario alle grandi opere per ammodernare il Paese. I cantieri e l’asfalto o la Tav fra Brescia e Verona che il ministro Danilo Toninelli ha “messo sotto esame”, come annunciò, non sono né buoni né cattivi: dipendono dalla visione che un governo coltiva per l’Italia di domani.
La decrescita felice è un simpatico paradosso, perché felice può essere solo la crescita. Una crescita naturalmente a ragion veduta, controllata e sicura, capace di salvaguardare l’ambiente e di coinvolgere i cittadini e le istituzioni del posto affinché il processo dell’autonomia sia virtuoso, responsabile, di leale collaborazione con lo Stato. Ma il punto non è cementificare l’Italia, orrore che nessun amante consapevole della più bella nazione del mondo può volere. Il punto è continuare ad avere fiducia nella capacità degli italiani di saper fare le cose, perbene e come legge comanda. Non porta lontano, al contrario, rinunciare a priori a progredire, nel timore che le novità saranno calamità. La sfida è fare, arrendersi è non fare.
Da troppo tempo l’immobilismo è il male oscuro dell’Italia. Ma se non lo cambia il “governo del cambiamento”, chi mai lo cambierà?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi