Salvo ripensamenti, i senatori del M5S oggi usciranno dall’aula del Senato, cioè non voteranno la fiducia al governo di cui fanno, o facevano, parte per convertire il decreto-legge denominato “Aiuti”. La crisi è dietro l’angolo. Crisi politica, ma non istituzionale, perché il decreto avrà comunque i numeri per essere approvato.
Con un intervento fluviale, Giuseppe Conte ha cercato di spiegare che lo strappo è frutto del disagio sociale dei cittadini. Ha difeso il reddito di cittadinanza. Ha ricordato il documento consegnato a Mario Draghi. “Le sue dichiarazioni d’intenti non bastano”, ha detto Conte.
Ma l’errore politico del leader pentastellato, commesso per inseguire e allo stesso tempo domare la parte massimalista e ora prevalente nel M5S, non è l’aver riesumato tecniche e rituali da prima Repubblica nell’epoca, molto diversa, della guerra in Ucraina, della pandemia di ritorno e di un’economia colpita al cuore proprio mentre era ripartita con vigore. L’errore non è neppure quello di volersi intestare la rottura del governo di “unità nazionale”, mentre è in pieno corso l’attuazione del decisivo Piano nazionale di ripresa e resilienza.
In realtà, lo sbaglio strategico del Conte più di lotta che di governo è il non aver calcolato che la sua mossa, incomprensibile rispetto ai problemi concreti degli italiani e del mondo, dovrà fare i conti con due interlocutori poco inclini ai giochetti: il presidente del Consiglio, Mario Draghi e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Che nel febbraio 2021 aveva forgiato l’esecutivo di salvezza nazionale senza farsi imprigionare dalle manovre dei partiti. Difficile che Mattarella si faccia adesso influenzare da chi prevede (Letta) o reclama (Meloni e Salvini) elezioni subito. “La maggioranza non c’è più”, dice la Lega.
Al voto, che è l’espressione più alta della democrazia, si arriverà, è ovvio. A scadenza naturale (primavera 2023) o anche in anticipo, se e quando, però, Mattarella avrà la certezza che le incombenti emergenze nazionali e internazionali potranno essere governate, anziché lasciate alla mercé di una furibonda campagna elettorale. Il bene supremo è non vanificare i sacrifici dei cittadini e gli impegni dell’Italia.
La goccia dello strappo è il termovalorizzatore a Roma previsto nel decreto-aiuti. Eppure, già esistono 37 impianti simili in Italia. Eppure, lo sconcio dei rifiuti nella capitale è sotto gli occhi dell’universo.
Ecco, anche questo dà la misura dello scontro in atto.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi