A sinistra l’hanno capito subito: perché a destra ancora no?
Il Pd e Italia Viva hanno compreso all’istante l’importanza di sostenere la novità di Mario Draghi prima ancora di sapere quale sarà. Ma piantare le tende attorno alla sfida più difficile per l’ex presidente della Bce non è solo un atto di astuzia politica (della serie: meglio esserci che non esserci). Significa soprattutto mettersi dalla parte degli italiani, che in questo momento sperano che SuperMario li tiri fuori dalla pandemia e dal pantano, rimettendo l’Italia in cammino. Com’è possibile, allora, che proprio la destra di popolo non si faccia carico, per la parte che la riguarda, del grido di dolore, e di rabbia, che si alza dal Paese? Dopo i ripensamenti di Forza Italia e Lega, orientati adesso al “sì”, come può Fratelli d’Italia tentennare ancora? Rifugiandosi, al massimo, in un’annunciata astensione dal sapore pilatesco. A fronte, poi, della possibilità di affidare al nostro connazionale più competente e ascoltato nel mondo, il compito della ripresa economica, delle vaccinazioni di massa, delle scuole riaperte in tutta Italia e non a macchia di capriccio regionale. Toccherebbe anche alla destra cogliere lo spirito del tempo. All’ormai impotente richiesta di “elezioni, elezioni” la gente risponde “vaccinazioni, vaccinazioni”.
Possono essere molte le ragioni per votare la fiducia a Mario Draghi. Ma una le sovrasta tutte: l’amor d’Italia, semplicemente. Se però di strategia si vuol parlare, perché lasciare ai soli Pd e a Italia Viva, ai quali si stanno aggiungendo pure i Cinquestelle, il monopolio dell’unità nazionale? Forza Italia e Lega hanno compreso che c’è il tempo per protestare e c’è il tempo per mettersi in gioco. Se Fdi sceglie di barricarsi in frigorifero, sottovalutando l’importanza dell’unico interesse nazionale che conta in questo momento -dar forza all’esecutivo-Draghi-, rinuncia a essere protagonista nell’ora della responsabilità per tutti.
Certo, la destra non ha mai amato i tecnici catapultati a Palazzo Chigi, da Lamberto Dini a Mario Monti. Ma l’attuale tempo di Draghi richiama quel che accadde nel 1993, quando un signore dal nome e dalla passione risorgimentali -Carlo Azeglio Ciampi, anche lui governatore della Banca d’Italia-, chiedeva la fiducia in piena bufera di Tangentopoli non per un governo di unità nazionale, ma comunque “del presidente” (Scalfaro). La destra di allora, il Msi, votò contro. Salvo contribuire a eleggere Ciampi al Quirinale nel 1999, quando il Msi era diventato An. Ciampi si sarebbe rivelato il più patriottico presidente dal dopoguerra. Merito anche della destra che non rimase alla finestra, ma scommise sulla figura di Ciampi, facendo la cosa giusta: uscire dal frigorifero senza avere paura delle grandi sfide.
Oggi Draghi è chiamato in uno scenario ben peggiore del ‘93. In un anno la pandemia ha già ucciso più di 90 mila persone, equivalente al 15 per cento dei morti italiani nella Grande Guerra in tre anni e mezzo di drammatica trincea. Interi settori dell’economia sono in ginocchio, cominciando dal turismo, il nostro universale biglietto da visita. Il numero di cittadini vaccinati è irrisorio.
Ci sarà pure una differenza, allora, fra chi proponeva banchi a rotelle e bonus per monopattini e chi, invece, è stato incaricato dal Quirinale per prospettare una certa idea dell’Italia che vuole risorgere.
Il governo-Draghi è un esame di maturità patriottica per tutto l’arco politico. Ma nessuno, neanche SuperMario, è un salvatore della Patria, se non ha accanto a sé il consenso e il pungolo di chi rappresenta il popolo sovrano. A sinistra hanno già battuto il colpo, mentre la destra si autoesclude a prescindere. Attende anche di leggere il programma e di giudicare la squadra dei ministri, com’è ovvio. Ma programma e squadra potrà condizionarli se li vota, non se si gira dall’altra parte.
Contrariamente a quel che diceva Brecht, beati i popoli che hanno bisogno di eroi. Ma i popoli i loro eroi non li lasciano mai soli.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma