Col suo lungo discorso d’esordio da presidente del Consiglio alla Camera, interrotto da più di 70 applausi -in alcuni casi anche da parte dell’opposizione-, Giorgia Meloni ha rotto il tabù della prima donna a Palazzo Chigi. Ma ha fatto soprattutto intendere, forse più agli alleati galvanizzati che non agli avversari divisi, che lei non governerà a ogni costo, ma solo se potrà realizzare quanto promesso agli elettori. Fino alla proposta più alta rilanciata in aula: l’elezione diretta del capo dello Stato.
Dunque, la sola prospettiva di una riforma costituzionale, quale il presidenzialismo imporrebbe, testimonia che nasce un governo politico con l’obiettivo -almeno annunciato- di voler fare. E che tale governo sarà guidato col piglio di una donna pragmatica e di destra. Tanto pragmatica, d’aver concordato un sereno passaggio di consegne con Mario Draghi, assicurando al Parlamento che la politica estera dell’Italia, in particolare sul tetto al prezzo del gas in Europa e sul sostegno “al valoroso popolo ucraino”, seguirà proprio le orme del suo ringraziato predecessore.
Forse è questa la chiave per comprendere il senso di un intervento pieno di propositi tutti ancora da verificare: non ci sarà rottura ma, al contrario, continuità con l’esecutivo-Draghi. La rottura che la Meloni ha evocato è semmai con il precedente governo-Conte e la sua strategia fondata sul reddito di cittadinanza -da lei aborrito- e sulla strategia restrittiva contro il Covid, da lei abolita per sempre.
Ma anche l’impegno, anch’esso da dimostrare, nel voler proseguire con rapidità ad attuare e completare il Piano di ripresa nazionale (con le necessarie correzioni “concordate con Bruxelles”, ha precisato), conferma che saranno l’economia e l’ormai prossima legge di bilancio il principale banco di prova per giudicare l’azione del governo.
Tregua fiscale, tassa piatta, flessibilità del sistema previdenziale, taglio del cuneo e altre, tante, intenzioni elencate. Ma sul come e sui tempi nessuna indicazione. Perché sono tutti temi subordinati al dovere di affrontare subito il caro-bollette: di nuovo un bagno di realismo dopo la facile propaganda della campagna elettorale. Con lo stesso senso pratico, la Meloni previene ogni polemica ideologica: “Non ho mai provato simpatia per regimi antidemocratici, fascismo compreso”.
Alla fine la Camera dà la fiducia. Oggi si replica al Senato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi