Anche se la giustizia “è uguale per tutti”, come ammonisce la scritta che campeggia nei tribunali, guai a giudicare in modo eguale l’esito di inchieste giudiziarie radicalmente diverse tra loro.
E’ quello che sta, invece, accadendo nel mondo politico, pronto a polemizzare all’unisono con i magistrati, se e quando le assoluzioni riguardano esponenti della propria area. Oppure, al contrario, a gongolare in maniera pronta, cieca e assoluta -per parafrasare il buon Guareschi-, quando le richieste di rinvio a giudizio colpiscono gli avversari. Non fa eccezione il caso di Virginia Raggi. Hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per falso, e perciò gli oppositori del sindaco di Roma l’attaccano. Ma i Cinque Stelle la difendono, perché è stata richiesta l’archiviazione per l’ipotesi di abuso d’ufficio “dopo mesi di fango”. In contemporanea nel Lazio va in scena la polemica sul rinvio a giudizio per sedici ex consiglieri regionali del Pd per l’inchiesta “spese pazze”. Ma tutti, indistintamente, fanno valere il solito teorema: garantisti o giustizialisti a seconda, e a corrente alternata.
E allora bisogna oltrepassare l’inattendibile faziosità con cui la politica ormai da venticinque anni -da Mani Pulite, 1992, in poi-, interpreta le vicende giudiziarie, per constatare alcuni fatti che mortificano la ricerca della verità e il senso di giustizia da assicurare agli italiani.
Ben tre scandali che all’epoca contribuirono a far cadere un governo, un’amministrazione regionale e una classe dirigente, si sono sgonfiati. E’ successo con Mastella, ex ministro della Giustizia nell’esecutivo-Prodi, assolto dai presunti illeciti in nomine sanitarie e politiche dopo nove anni di processo. E’ successo con Del Turco, ex governatore dell’Abruzzo, assolto, sempre dopo nove anni, dal pesante reato associativo che ne aveva decapitato la giunta. E ora pronto a chiedere la revisione del processo per contestare la condanna residua per induzione indebita “rideterminata” in tre anni e undici mesi. E’ successo con Penati, ex presidente della Provincia di Milano e già sindaco di Sesto, con la confermata assoluzione in appello, sei anni dopo l’avvio dell’inchiesta che lo vedeva accusato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Tre casi molto diversi tra loro. Ma tre indizi, si suol dire, rappresentano una prova. La prova che qualcosa di fondamentale non funziona nel sistema giudiziario/legislativo. E non solamente quando di mezzo ci vanno gli alti papaveri.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi