Doveva andare meglio, ma poteva andare peggio. Un decente compromesso, alla fine, né trionfo né disastro per nessuno.
Eppure, l’esito del Consiglio europeo continuerà a contrapporre i pessimisti e gli ottimisti a oltranza. Dunque, sui 209 miliardi (il 28% della somma totale di 750) che spetteranno all’Italia, è tempo sprecato chiedere ai molti euroscettici dell’opposizione e ai non pochi euroeuforici della maggioranza di non eccedere nel gioco delle parti.
Ma su almeno un punto dell’accordo trovato fra i 27 Paesi, dividersi non si può più: l’esito della quattro giorni (e notti) dell’Ue testimonia, “oltre ogni ragionevole dubbio”, che è meglio far parte dell’Europa, anziché starne fuori. Punto e a capo.
L’ombrello economico che il vecchio continente è riuscito a spalancare a protezione di tutte le nazioni colpite dal coronavirus -e perciò a maggior beneficio nostro, che ne siamo stati i primi e più danneggiati-, rivela che l’Unione non è soltanto un’espressione geografica. Non è neppure il sogno solitario di alcuni nostri padri -l’antesignano fu Mazzini già nell’Ottocento- né l’aspirazione romantica dei nostri figli. I figli dell’Erasmus e della patria con tante lingue, incontri, conoscenze. L’Europa è anche un comune destino economico. E’ l’unica istituzione al mondo che, pur fra i veti assai poco “frugali” dei vari Rutte, l’olandese, o Kurz, l’austriaco, ossia politici piccini costretti a prendesela coi grandi -Germania, Francia, Italia- per far vedere che esistono, può farsi carico anche dell’interesse nazionale italiano. Come lo è l’insieme di sovvenzioni e prestiti che Roma porta a casa.
Adesso la sfida è solo nostra. Saper dimostrare, da cofondatori dell’Ue, che la fiducia accordataci, è ben riposta. Riuscire a investire il fiume di denaro in arrivo (a proposito: quando?) per rilanciare l’Italia come ai tempi del boom. Cogliere l’importanza dell’opportunità unica, trasformando quei fondi in produzione, che è la sola via maestra per creare occupazione, per esportare, per consumare.
Mai come oggi il governo e l’opposizione sono chiamati alla responsabilità nazionale. E poi, impiegando quelle risorse al meglio e subito, vinceremo anche le ultime diffidenze nord-europee: vengano pure a vedere, i frugali, quanto sono bravi gli italiani.
Diamo un seguito con maturità politica e istituzionale alle belle parole che abbiamo tutti condiviso nelle ore più buie: andrà tutto bene.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi