Mai passare dalla parte del torto, pur avendo ragione. E’ quello che deve evitare la Spagna nella disputa, sempre più accesa, con la sua Catalogna. Madrid deve ora mostrare la forza non della forza (già sperimentata; non è stata una bella idea), ma dell’abilità nell’indurre i suoi recalcitranti interlocutori a dialogare. Anche se non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire, come sta accadendo con le disinvolte autorità di Barcellona. Che fingono di non sentire l’ultimo monito dell’Unione europea: nessun territorio separatista avrà un riconoscimento da Bruxelles. Che girano la testa a fronte dell’ultima decisione della Corte Costituzionale di sospendere la seduta del Parlamento catalano, già convocato lunedì prossimo per proclamare l’indipendenza. Così come non si ascolta, tra gli irriducibili politici di Barcellona, la volontà dell’altra parte “unionista” nella regione autonoma e ribelle. Una parte che alle elezioni politiche ha raccolto la maggioranza dei consensi (non dei seggi a causa della legge elettorale). Ma questa maggioranza silenziosa non ha voce in capitolo.
E poi la legge. E’ alla Costituzione democratica del 1978, che fu confermata con referendum popolare -a Barcellona i “sì” furono il 90 per cento, ancora più alti che a Madrid-, che le istituzioni catalane hanno l’obbligo morale e giuridico di attenersi, come tutti i più grandi intellettuali ripetono. A cominciare dal premio Nobel per la letteratura, Mario Vargas Llosa, che aveva paragonato il referendum a un colpo di Stato. Non esiste il diritto alla secessione, ricordano scrittori, filosofi ed economisti d’ogni idea politica. Intanto, importanti banche e aziende esaminano la possibilità di traslocare dalla Catalogna le loro sedi principali.
Dunque, il contesto generale, le preoccupazioni nella stessa società catalana, la presa di posizione di chi sa di che parla, la Costituzione: tutto gioca a favore del punto di vista nazionale.
Perciò, spetta alle istituzioni di Madrid trovare la forma e la formula per uscire dal vicolo cieco senza commettere, né ripetere errori. Tra il manganello e il voto illegale c’è una terza via che rende ogni democrazia forte e giusta: parlarsi.
Dopo il duro discorso di re Felipe è ora di abbassare il tono, la voce e gli sguardi: lavorino tutti per un faccia a faccia tra le parti contrapposte. A costo di assistere a una scena muta, la prima volta.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi