Quando un uomo uccide una donna, il che avviene in media ogni tre giorni, si dice sempre che purtroppo non può bastare la legge per combattere il femminicidio. E’ la società tutta che deve impregnarsi di una nuova sensibilità, coltivando la cultura del rispetto per gli altri e del pieno riconoscimento della parità fra i generi. L’educazione in famiglia e l’istruzione a scuola sono fondamentali per cambiare comportamenti e mentalità. Più rispetto genera meno violenza.
Ma quando sono le leggi a consentire a una persona già condannata per aver ucciso l’ex convivente a maltrattare la sua seconda e nuova compagna (altra condanna) grazie alla libertà che l’ordinamento gli ha nel frattempo concesso, e poi gli permette anche di aggredire una terza donna, è chiaro che non si può più far carico alla società di un compito che è invece politico: del Parlamento chiamato a fare le leggi.
Il caso di cronaca che L’Arena racconta ne è solo l’ultima e desolante testimonianza. La presunzione d’innocenza, sano principio della Costituzione, non può spingersi fino al punto da dimenticare che nel mondo esiste pure il male. E che, accanto ai presunti innocenti, ci sono i colpevoli accertati come tali da sentenze della magistratura. Ma qui chi sbaglia, non paga. O paga con pene irrisorie e benefici generosi.
Tocca al legislatore intervenire per porre fine a questa grave ingiustizia, che fa inorridire il diritto e non ferma il delitto.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi