Se dall’inizio dell’anno i femminicidi in Italia sono 80, un numero insanguinato che conferma la già agghiacciante media di una donna uccisa ogni tre giorni per mano di un uomo che in un caso su due era il suo compagno, fidanzato, marito o ex, c’è poco da riflettere e molto, invece, da fare. Significa che è insufficiente la pur inasprita legislazione coi suoi opportuni “codici rossi” per cercare di prevenire i delitti. E il Parlamento ha appena ampliato le possibilità dei magistrati di intervenire senza perdere tempo prezioso nelle indagini. Va meglio, quindi, rispetto all’inconsapevolezza del passato sulla gravità del problema. Però non basta la legge, per quanto più severa potrà ancora essere, per arginare un fenomeno criminale intriso di relazioni e mentalità sbagliate.
Lo dice con poche, ma chiare parole il capo dello Stato, Sergio Mattarella, denunciando la violenza sulle donne come “intollerabile barbarie sociale frutto di una miserabile concezione del rapporto fra i sessi”.
Lo dicono le componenti della Commissione bicamerale sui femminicidi, che alla Mostra cinematografica di Venezia arrivano sul tappeto, rosso come il colore delle scarpe diventate simbolo della denuncia contro i violenti, per ricordare al mondo l’importanza della doppia comunicazione sul tema. Quella delle donne alle Forze dell’ordine ai primi segnali di pericolo avvertito. E quella di chi fa informazione e che, come ha sottolineato Francesco Menditto, procuratore di Tivoli e da sempre in prima linea contro la violenza di genere, può contribuire, con cronache puntuali messe in grande risalto, a coltivare e fortificare quella coscienza sociale e culturale che è il naturale antidoto della collettività contro i bruti.
E poi c’è bisogno di maggiore formazione degli investigatori e magistrati chiamati a occuparsi di un reato che esige competenze specifiche. Per esempio nel cogliere subito certi segnali d’allarme nei comportamenti dei potenziali assassini. Così come occorre prestare massima attenzione anche alle più semplici raccomandazioni: mai una donna deve accettare un “ultimo incontro”, tantomeno da sola, con l’uomo con cui ha già rotto la relazione per violenze o minacce subite, e che spesso lo richiede.
Dunque, non c’è un modo solo -giuridico, legislativo o pedagogico- per contrastare l’intollerabile numero dei femminicidi. La chiave di volta e di svolta sta proprio nell’insieme di prevenzione, punizione e una nuova educazione nei rapporti uomo-donna fin dalla scuola e in famiglia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi