Chiedo subito scusa ai lettori: il testo normativo che qui pubblichiamo per la prima volta, è scritto in un italiano che non si fa leggere. Ma bisogna leggerlo. E’ tutta farina della cosiddetta Commissione paritetica dei Sei, composta, appunto, da sei persone non elette da nessuno per questo compito costituzionale, ma nominate in rappresentanza dello Stato e della Provincia autonoma di Bolzano. Così paritetica, che sono di lingua italiana soltanto due membri su sei.
Chiedo scusa ai giuristi che, dopo aver letto tale “schema di decreto legislativo”, potrebbero domandarsi: ma com’è possibile che un simile obbrobrio sia destinato all’attenzione del Consiglio dei ministri e alla firma del Quirinale senza che almeno i consiglieri giuridici del presidente del Consiglio e del capo dello Stato, dicano ad alta voce: “Attenzione, Gentiloni, attenzione Mattarella, questo provvedimento dall’innocua apparenza e incerta scrittura in realtà è uno schiaffo senza precedenti all’ordinamento della Repubblica”.
Voglio scusarmi con gli oltre cento docenti universitari di tutta Italia. E della Germania, del Belgio, della Polonia, della Spagna, degli Stati Uniti. E poi con gli accademici della Crusca. Tutti insieme, gli studiosi di grande peso e competenza hanno inviato appelli alle Istituzioni del nostro Paese, implorandole: “Salvate i toponimi italiani”.
Hanno dimostrato un coraggio civile sconosciuto in un mondo intellettuale e politico non di rado così vile e servile. Si sono presi ogni genere d’insulto da estremisti sudtirolesi che vivono di propaganda e pregiudizio, e soltanto per aver fatto la cosa giusta. Soltanto per aver invocato, quei professori italiani e stranieri, il rispetto della legge in Alto Adige, Italia.
Chiedo scusa all’italiano Alcide De Gasperi e all’austriaco Karl Gruber, gentiluomini del tempo che fu: il loro Accordo del 1946 sta per diventare carta straccia.
Chiedo scusa alla comunità di lingua tedesca che, in grande maggioranza, non è affatto ostile al buonsenso del bilinguismo; chi è di lingua italiana dica pure in italiano ciò che noi, di lingua tedesca, diciamo in tedesco: dove sta il problema? Anche nella Svp non mancano gli animati dallo stesso civismo, che poi vuol dire saper convivere e voler rispettare la storia d’Italia e di tutti.
Ma costoro sono silenti: non parlano. In loro vece si leva la voce prepotente di chi si giustifica così: noi decidiamo di sradicare un gran bel pezzo di nomi, solo per evitare che l’addio ai monti italiani lo rivendichi, molto peggio di noi, l’estremismo politico fiorente alla nostra destra. Ma che bravi, che buoni che sono: selezionano i toponimi da far scomparire solo per aiutarci.
Cercasi, dunque, il ragionier Fantozzi di turno (ma va bene anche un don Abbondio di passaggio; e purtroppo se ne trovano tanti), che si inchini alla Svp e magari la ringrazi pure per l’atto di generosità: anziché esigere l’estirpazione dell’intero patrimonio linguistico italiano, il furbo padrone per il momento s’accontenta di tagliarne a man bassa solamente una notevole parte. Come se potesse giuridicamente farlo. Come se dovesse umanamente farlo.
Chiedo, infine, scusa a tutti per queste ultime riflessioni purtroppo necessarie per leggere il testo in controluce. Un testo che l’8 marzo, giornata internazionale delle donne, conoscerà la sua definitiva formulazione per passare poi al varco e al varo del Consiglio dei ministri, del Quirinale e diventare norma d’attuazione di rango costituzionale.
Si deve, allora, sapere che, pur dovendo attuare precise disposizioni dello Statuto speciale d’autonomia in materia di toponomastica prescritte dagli articoli 101, 102 e 99 dello Statuto del 1972, tali disposizioni non vengono neppure menzionate. Un’imperdonabile dimenticanza? Certo che no. Quegli articoli stabiliscono con chiarezza costituzionale (già “interpretata” pure dalla Corte Costituzionale con una precedente sentenza, la 28 del 1964), che la Provincia di Bolzano può solo “accertare l’esistenza ed approvare la dizione” dei toponimi tedeschi e ladini, non già cancellare la centenaria esistenza di quelli italiani in vigore. La norma costituzionale non le consente l’abominio, non le consente d’eliminare le dizioni italiane. Non possono farlo, non devono farlo.
Aver ignorato queste disposizioni dello Statuto rivela, quindi, che non si tratta di norma di ”attuazione”, bensì di ’“alterazione” dello Statuto, perché ne stravolge, cioè viola, la lettera e lo spirito.
Seconda riflessione. Nessun riferimento viene fatto alla vigente legislazione nazionale sulla toponomastica, pur essendo, oggi, l’unica esistente sul piano giuridico e formale.
Alludo all’importante decreto legislativo 179 del 2009, consacrato da una significativa sentenza della Corte Costituzionale (la 346 del 2010). Tale decreto ha reso “repubblicano” ciò che in precedenza era “regio”, ossia il primo decreto sulla toponomastica del 1923.
Non citare la legge in vigore in Italia sulla toponomastica è un atto di sfida (anche di spregio?) per l’ordinamento della Repubblica. E’ come dire: noi regoleremo i toponimi a nostro piacimento, a prescindere dalle norme vigenti frutto della storia d’Italia e tutelate al massimo livello dalla Corte Costituzionale.
Terza riflessione. Per raggiungere l’obiettivo di rendere monolingue, cioè solo in tedesco, ciò che da cent’anni è indicato in italiano e in tedesco, si prevede il criterio comico, ma devastante della “denominazione diffusamente utilizzata”. Un criterio indimostrabile e discutibile in eterno, che perciò si presterà all’arbitrio di chi ha più forza politica e maggior potere: la Svp. E poi come bussola per stabilire quel che si può conservare e quel che si deve eliminare, s’inventa il criterio della presunta “dizione originaria in lingua tedesca e o ladina dei nomi storici” (si noti la raffinatezza grave e greve: non si prevede una “dizione originaria in lingua italiana”; per noi italiani la storia non vale e non conta).
Ecco, forse siamo al punto: che cosa c’è dietro. “Dizione originaria” significa andare in retromarcia alla ricerca del “chi c’era prima”, quasi esistesse una fonte di purezza toponomastica a cui obbligatoriamente abbeverarsi, una presunta e sacra origine solo tedesca.
Attenzione, è un concetto anacronistico, inaccettabile, e due volte insidioso. Si potrebbe, infatti, scoprire che il toponimo italiano “Appiano” è nome prediale (da “Appius” + suffisso anum), storicamente molto anteriore, addirittura di epoca romana, rispetto al tedesco “Eppan”. Ma nell’elenco dei nomi da decapitare, guarda un po’, non figura semmai la scure per l’intedescato “Eppan” (e sarebbe una follia), bensì la ghigliottina già calante per l’antico “Castel d’Appiano”, che diventerebbe un grottesco “Castel HochEppan”. Semplicemente vergognoso.
Come si vede, il vigente e inderogabile obbligo di bilinguismo (“Castel d’Appiano/Burg Hocheppan”) è anche un magnifico baluardo contro l’ignoranza e l’arroganza. E’ un’isola di libertà, dove nessuno è prigioniero dell’altrui volontà. Dove nessuno può vietarmi la parola nella mia lingua.
Ultima avvertenza. Hanno messo nero su bianco persino che l’”ordine di precedenza” linguistico nei cartelli e nella segnaletica stradale “è dato dalla consistenza dei gruppi linguistici nei luoghi di pertinenza risultante dall’ultimo censimento generale della popolazione”. Insomma, con l’eccezione nei comuni di Bolzano e di Laives, tutto dovrà essere prima in tedesco.
Si sono preoccupati di regolamentare il metro col centimetro non per teutonica precisione ma, vuoi vedere?, per continuare a non attenersi a una sentenza della Corte Costituzionale. Quella celebre sul “maso avito”, la 21 del 1987. Stabiliva la precedenza della lingua italiana, che è “la lingua ufficiale dello Stato”. Come se non bastasse, un’altra esemplare sentenza della Corte Costituzionale appena depositata, la numero 42 di quest’anno, ha riaffermato che l’italiano è la lingua intoccabile della Repubblica.
Il conto alla rovescia è così cominciato. Dieci giorni mancano alla decisione finale dell’8 marzo, giornata internazionale delle donne.
Se in questo Paese chi esercita pubbliche funzioni coltiva ancora il senso dello Stato e lo Stato di diritto, si è in tempo a fermare lo scempio politico-giuridico di una norma di “alterazione” impresentabile, che apre la strada all’abolizione definitiva di una parte smisurata di nomi italiani dalla secolare tradizione in Alto Adige.
Sono in gioco principi, valori e diritti che ogni persona libera, ma soprattutto ogni Istituzione pubblica, dovrebbe sentire propri, e saper difendere “con onore”, come scrive la nostra Costituzione in uno dei suoi articoli più belli e dimenticati.
Schema di decreto legislativo concernente norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol in merito all’art. 8 comma 1, numero 2) del D.P.R. n. 670 del 31 agosto 1972 e in materia di uso della lingua tedesca e ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari
Art.1
- La Provincia autonoma di Bolzano esercita la propria competenza in materia di toponomastica nei limiti ed ai sensi dell’articolo 8, numero 2) del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, nel rispetto dell’obbligo della bilinguità o, laddove prevista, trilinguità.
- Fermo restando quanto disposto dall’articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, la Provincia autonoma disciplina con legge la forma bilingue o, ove prevista, trilingue dei toponimi tenendo conto dei seguenti principi:
- individuazione, secondo criteri oggettivi, delle denominazioni diffusamente utilizzate per le località nelle rispettive lingue italiana, tedesca e ladina;
- l’accertamento delle denominazioni diffusamente utilizzate nelle lingue italiana e tedesca per il territorio provinciale, escluse le località ladine, e i relativi criteri tecnico-scientifici, sono determinati da un comitato composto da sei esperti in materia storica, geografica, cartografica, linguistica o giuridica, in numero uguale per ciascuno dei gruppi linguistici italiano e tedesco, designati dal Consiglio provinciale su proposta della maggioranza dei consiglieri dei rispettivi gruppi linguistici. Il Comitato decide a maggioranza assoluta dei componenti e, in ogni caso, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti designati da ciascun gruppo linguistico;
- l’accertamento delle denominazioni diffusamente utilizzate per le località ladine, e i relativi criteri tecnico-scientifici, sono determinati da un comitato composto da quattro esperti in materia storica, geografica, cartografica, linguistica o giuridica; due componenti sono designati dalla maggioranza dei consiglieri del gruppo linguistico ladino, uno dalla maggioranza dei consiglieri del gruppo linguistico tedesco e uno dalla maggioranza dei consiglieri del gruppo linguistico italiano. Il Comitato decide a maggioranza assoluta dei propri componenti;
- mantenimento nella loro dizione originaria in lingua tedesca e/o ladina dei nomi storici qualora non risulti sussistente una denominazione in lingua italiana individuata secondo i criteri di cui alle precedenti lettere a) e b), ferma restando in ogni caso la traduzione dei termini aggiuntivi come ad esempio “malga”, “lago”, “montagna”, “fiume”, “castello”, e similari;
- Restano ferme le attribuzioni della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol in relazione all’ordinamento e alle denominazioni degli enti locali.
- Un primo elenco ricognitivo dei toponimi è allegato al presente decreto. Tale elenco può essere successivamente integrato e modificato secondo le disposizioni di cui al comma 1, lett. b) e c) del presente articolo. La cancellazione del predetto elenco di denominazioni nelle lingue italiana e tedesca è deliberata dal Comitato nella composizione di cui al comma 1 lett. b) del presente articolo, e in deroga al procedimento a maggioranza qualificata ivi previsto, a maggioranza dei votanti.
Art.2
All’articolo 4, dopo il comma 4, del D.P.R del 15 luglio 1988, n.574, è aggiunto il seguente:
4-bis. Le denominazioni dei toponimi sulla cartellonistica e sulla segnaletica stradale vengono riportate nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue in conformità alla normativa di cui all’art. 8 comma 1, numero 2) del D.P.R. n. 670 del 31 agosto 1972 e delle relative norme di attuazione. L’ordine di precedenza è dato dalla consistenza dei gruppi linguistici nei luoghi di pertinenza, risultante dall’ultimo censimento generale della popolazione.
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