Con 5 Regioni chiamate al voto nei prossimi cinque mesi e la ciliegina sulla torta delle elezioni europee a conclusione del ciclo, il 9 giugno, siamo in piena regola: anno nuovo, ma campagna elettorale permanente.
La novità, però, stavolta sarà nella posta in gioco del doppio appuntamento amministrativo e politico in arrivo. Che non è, come spesso in passato, la stabilità del governo. Salvo sorprese, sarà difficile per le opposizioni ribaltare la maggioranza della maggioranza sull’onda del duplice voto. La sfida, invece, riguarderà gli equilibri tra le forze politiche in entrambi gli schieramenti, e soprattutto la leadership: chi guiderà i partiti a risultati regionali ed europei acquisiti.
Con la Sardegna, prima regione ad andare al voto il 24 febbraio, seguita da Abruzzo, Basilicata, Umbria e Piemonte, il centrodestra punta a riconfermare la sua cinquina di presidenze. E il centrosinistra a impedirglielo.
Ma se sommiamo l’esito delle amministrative a quello del voto per Strasburgo (che avverrà con sistema proporzionale e perciò consentirà di “fare la conta” dei singoli partiti), la principale prova d’appello dopo le elezioni nazionali del 25 settembre 2022 sarà per Giorgia Meloni e la sua coalizione.
Quale gradimento degli elettori per lei, che si candidi o no alle europee, e per il suo partito? E Matteo Salvini e Antonio Tajani quale forza rappresentativa raccoglieranno per confermare d’essere alleati indispensabili, anziché necessari, ma ridimensionati? Ipotesi, la seconda, che metterebbe in discussione la loro leadership nella Lega e in Forza Italia rispettivamente.
Per rinsaldare l’intesa di governo, gli scossoni farebbero più male che bene. Paradossalmente, cercare di stravincere a danno dei propri alleati -tentativo non si sa se perseguito o solo attribuito alla Meloni-, può diventare un boomerang.
Se sul versante destro la gara a tre (Meloni, Salvini, e Tajani) può riservare sorprese, nel centrosinistra le maggiori aspettative sono riposte sul consenso per Elly Schlein e il Pd che guida da quasi un anno. Se alle europee non superasse almeno la soglia psicologica -e per la tradizione del partito già bassa- del 20%, con lei stessa candidata oppure no, il suo ruolo sarebbe fatalmente contestato. Specie se in contemporanea il M5S di Giuseppe Conte si rivelasse in buona e ravvicinata salute elettorale. Nel caso di delusione elettorale, l’annunciato ritorno del commissario europeo, Paolo Gentiloni, a Roma acquisterebbe un sapore molto diverso e potrebbe aprire una eventuale nuova fase nel Pd.
Al giudizio degli italiani anche il terzo polo dei divorziati Matteo Renzi e Carlo Calenda e la consistenza della sinistra ambientalista.
L’eterna campagna elettorale non è mai uguale a se stessa. E guai a dare previsioni o sondaggi per scontato: centrodestra e centrosinistra rischiano cose diverse. Ma il rischio è alto per entrambi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova