L’inno alla Gioia prima ancora della Marsigliese, l’evocazione dell’Europa all’insegna del grande compositore “tedesco” Beethoven nell’orgogliosa patria francese che invoca libertà, uguaglianza e fraternità da oltre due secoli. Se Parigi val bene una mossa, quella fatta a sorpresa dall’appena eletto e “audace” Emmanuel Macron davanti al Louvre per festeggiare anche con una scelta musicale insolita il suo arrivo all’Eliseo, e da nessun altro presidente europeo azzardata nel proprio Paese prima di lui, scuote l’intero continente. Coi suoi trentanove anni e la rivendicata estraneità ai partiti tradizionali, Macron è andato controvento, e i suoi cittadini l’hanno seguito. Soffiava forte il populismo della Brexit e di Trump incarnato da Marine Le Pen, rappresentativa della “collera francese”, come la chiamava lo stesso vincitore Macron. Nell’ora della verità due elettori su tre hanno fatto una scelta popolare sconfiggendo il populismo. Qualcosa di simile era successo anche in Olanda un paio di mesi fa, quando il premier liberale Mark Rutte fermò l’avanzata di Geert Wilders, leader del radicalismo ostile all’Unione europea.
E’ forse la rivincita di Bruxelles (e della sua nomenclatura) a tempo quasi scaduto? Certo che no. Francia e Olanda hanno solo dimostrato che un’altra Europa è possibile senza distruggerla, bensì rinnovandola in fretta e nel profondo. Ma il cambiamento dell’onda anti-populista ora interpretato da Macron passerà, paradossalmente, dal ritorno all’antico: l’intesa franco-tedesca, l’asse Merkel-Macron destinato a trovare un nuovo equilibrio di guida nell’Europa senza bussola.
E’ una prospettiva resa molto vicina dall’addio della Gran Bretagna -chiamata alle urne l’8 giugno dalla premier May, speranzosa di rafforzarsi-, e dal voto autunnale in Germania, che vedrà Frau Angela candidata alla cancelleria per la quarta volta.
In questa partita a scacchi, Roma non può stare a guardare, proprio nel momento in cui la sua voce -si pensi solo al dramma dell’immigrazione- più alta dovrebbe tuonare. Non mancano le buone ragioni né il peso politico, economico e culturale dell’Italia per far valere un ruolo che la geografia mediterranea, la storia europeista e la sua forza industriale da sole le riconoscono. La presidenza italiana del G7 a Taormina il prossimo 26 maggio sia l’inizio di una nuova consapevolezza e di una maggiore ambizione.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi