L’ultima puntata della Tav-novela di governo vede protagonista proprio il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Per trovare un’intesa fra i suoi due vice, mettendo insieme il no di Luigi Di Maio alla Torino-Lione con il sì di Matteo Salvini, il temporeggiatore di Palazzo Chigi ricorre ai cavilli. Chiede al consiglio di amministrazione della Telt, la società italo-francese incaricata di realizzare la grande opera, di non dare il via libera ai bandi per i lavori -com’era chiamata a fare domani- e, allo stesso tempo, di impegnarsi a non pregiudicare i fondi dell’Unione europea. Dunque, vanno bene solo gli atti preliminari, magari in vista di strappare altri sei mesi per ridiscutere del progetto. Anche a costo -secondo le prevalenti interpretazioni- di sbloccare poi i bandi in tempo utile. Ma all’insegna di un altro cavillo previsto dalla legislazione francese, la clausola di dissolvenza, cioè sempre con la possibilità della marcia indietro per il governo italiano.
Nell’immediata risposta a Conte, è la Telt a ricordare che, un nuovo rinvio di tali pubblicazioni “oltre il mese di marzo”, comporterebbe la perdita di 300 milioni dall’Europa. La società ammonisce sul rischio che essa stessa venga chiamata in causa, per responsabilità civile e amministrativa, “quale conseguenza dell’inerzia decisionale su una materia di nostra competenza”. Infine comunica che il consiglio consentirà a pubblicare gli inviti per presentare candidature “relativamente agli interventi dei lotti francesi del tunnel di base”.
Un gran pasticcio tecnico, economico e diplomatico (la Torino-Lione è prevista da un trattato internazionale tra Roma e Parigi già ratificato dal Parlamento), che in realtà è il frutto di una precisa visione politica.
Lo rivendica chiaro e tondo il presidente della Camera e pentastellato Roberto Fico, spiegando che l’ostilità alla Tav non è un atto ideologico, “ma una battaglia identitaria del Movimento Cinque Stelle e quindi ne comprendo bene la durezza”. Tant’è che Di Maio esulta, mentre a Torino tornano a manifestare i favorevoli all’opera. E il presidente della Regione, Sergio Chiamparino, bolla come degna di una “Repubblica delle banane” la mossa di Conte che nulla muove.
Intanto Salvini, pur pronosticando che sulla Tav il governo non entrerà in crisi, già avverte: senza intesa nella maggioranza, devono intervenire il Parlamento o i cittadini con un referendum.
Tutti parlano della e nella Tav-novela: il tunnel che non c’è.
Pubblicato su Bresciaoggi