Non esiste sovranità politica senza sovranità energetica. Ora arriva dritto sull’Italia l’effetto della tardiva lezione appresa dall’Europa con la guerra di Putin: riparte il nucleare e si punta ai mini reattori di ultima generazione.
Troppo a lungo l’invasore russo dell’Ucraina aveva lasciato alle dipendenze del suo gas il nostro continente, costretto a correre ai ripari tre anni fa.
Fu soprattutto per opera di Mario Draghi, l’allora presidente del Consiglio, che l’Ue decise di puntare su nuove vie di approvvigionamento per non indebolire la produzione industriale e garantire il benessere della società occidentale. Ma prima di tutto per far valere il senso di un’autonomia europea che non poteva né può restare in balìa energetica delle circostanze politiche del momento ad altri ascrivibili.
Tuttavia, la realtà sta dimostrando che svincolarsi da Mosca non è sufficiente. Sia perché gli accordi nel frattempo raggiunti o che lo saranno con altri Paesi in Africa e in Asia rischiano a loro volta la precarietà per l’instabilità politica degli interlocutori (oltre che per l’aumento delle tariffe dovuto alle più svariate e imprevedibili cause). Sia perché persino con gli Stati Uniti, fino a ieri affidabile e solido alleato commerciale, con l’arrivo di Donald Trump e le minacce di dazi sui prodotti europei, cioè il pericolo di una guerra economica euro-atlantica, anche ciò che sembrava sicuro e scontato non lo è più. Insomma, l’Europa e l’Italia devono proprio fare energeticamente da sé.
Da qui nasce l’accordo fra Enel, Ansaldo Energia e Leonardo, i tre colossi italiani, per sviluppare un’attività congiunta nell’ambito delle nuove tecnologie nucleari, in particolare sui mini reattori di terza generazione. Ma si punterà anche alla ricerca sulla quarta generazione, il futuro dell’atomo. L’intesa è tecnica, tecnologica e politica, perché è stata fatta con la supervisione del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti.
Dunque, l’Italia riscopre il nucleare del nostro tempo, il nucleare pulito, come viene chiamato, dopo aver seppellito quello che esisteva 40 anni fa a colpi di referendum per la paura sopraggiunta dopo l’incidente del 1986 nella centrale sovietica di Chernobyl.
Ma, paradossalmente, vinse proprio la paura, perché nessuno dei tre quesiti in realtà prospettava l’abolizione del nucleare né la chiusura degli impianti o il divieto di nuove centrali. Invece, unico grande Paese d’Europa, l’Italia uscì dal nucleare, campo nel quale primeggiava per conoscenze e competenze. Che oggi, perciò, non ci faranno ripartire daccapo. Mancano strutture e impianti, ma il nucleare è tuttora ambito di eccellenza italiana.
Secondo quanto ora previsto dal piano del governo e dall’attività che si rimette in moto, la produzione italiana dovrebbe ricominciare fra cinque anni. Dal mix energetico il nucleare pulito dovrebbe assicurare, col tempo, fra il 10 e il 20% del necessario.
Ma conta anche il segnale: fra guerre e dazi, aumento dei prezzi e altrui incertezze politiche, l’Italia ha capito la lezione e vuole ricominciare da sé.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova