Il giorno dopo le elezioni, Matteo Salvini sembra rimasto al giorno prima: ancora scottato dall’esito del voto amministrativo. E così, mentre il governo approva la delega a una delle riforme più attese, quella del fisco da sempre caldeggiata dal centrodestra (il “meno tasse per tutti” di Berlusconi è del 2001), gli esponenti della Lega disertano il Consiglio dei ministri. “Il perché ce lo spiegherà Salvini”, dice Mario Draghi. E il leader replica: “Non è l’oroscopo, non è possibile avere mezz’ora di tempo per analizzare la delega, si cambi metodo”.
Secondo Salvini, il testo non conteneva quanto pattuito, né ha convinto la prevista revisione degli estimi catastali, perché potrebbe causare l’aumento di imposte sulla casa. Ma, a parte il fatto che Draghi ha ribadito che “nessuno pagherà di più o di meno, le rendite restano invariate”, per realizzare tale riforma strutturale ci vorranno almeno 5 anni. Il Parlamento avrà tutto il tempo per cambiare quel che non piace e mettere in pratica le tre questioni da anni irrisolte: riduzione del cuneo fiscale, nuove strategie contro l’evasione e riformulazione delle aliquote. Un fisco a misura del cittadino del terzo Millennio.
Tirarsi fuori all’inizio di un percorso che sarà lungo e ancora da costruire, e farlo dopo aver chiarito, e riaffermato, di non voler improvvisare strappi dal governo-Draghi, è inspiegabile.
Del resto, è proprio questo doppio ruolo da partito di lotta e di governo che ha spiazzato non pochi elettori della Lega. A destra, comprendendovi Fratelli d’Italia, non hanno pagato, perché non sono stati neppure capiti, gli ondeggiamenti sulla politica del rigore sui vaccini voluta da Draghi e Figliuolo. Al contrario, gli italiani hanno considerato responsabile e rassicurante l’atteggiamento di chi, nel centro-sinistra, non ha tentennato sull’obbligo della certificazione verde anche per lavorare e su ogni dura misura adottata dal governo-Draghi per uscire dalla pandemia e invertire la rotta dell’economia.
E’ come se Salvini non avesse ancora metabolizzato una sconfitta che non si deve solo alla scelta tardiva dei candidati, come lui stesso ha ammesso, ma soprattutto alla volontà, maggioritaria fra gli elettori, di archiviare ogni illusione populista. Inclusa quella del crollato M5S, senza più sindaci a Roma e Torino e degli ampi consensi di una volta.
A livello politico chi interpreta la protesta, non s’è accorto che l’Italia di oggi pretende e premia la proposta.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi