E il ricordo di Matteotti unisce tutti, cent’anni dopo

Giacomo Matteotti aveva 39 anni, una moglie e tre figli piccoli quando, il 10 giugno 1924, fu sequestrato, picchiato e assassinato. Undici giorni prima il deputato, giornalista e segretario del Partito socialista unitario aveva fatto un intervento alla Camera di allora, che la Camera di oggi, imbandierata di Tricolori e alla presenza delle massime autorità dello Stato, a cominciare dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deciso saggiamente e solennemente di celebrare.

Perché, nel denunciare le violenze e gli abusi commessi dai fascisti nelle elezioni del 6 aprile di quell’anno, che oltretutto sarebbero state le ultime con più partiti per oltre vent’anni, quell’intervento non solo rivela la tempra di “un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti”, come ha ricordato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ma suona ancora oggi come un inno alla democrazia. Un inno senza retorica e privo di ripicche ingiuriose nei confronti di quanti, tanti suoi colleghi, lo insultavano e cercavano di interromperlo, mentre lui, uomo probo e solitario, non un massimalista, ma un riformista, esponeva dati, nomi e fatti per spiegare perché non si dovesse convalidare l’elezione dei deputati avvenuta in un clima così aggressivo, illiberale, irregolare.

Lo stesso presidente dell’aula e grande giurista, Alfredo Rocco, a un certo punto della seduta gli suggerisce di parlare “prudentemente”, vista l’atmosfera infuocata che accompagnava e ormai sovrastava ogni sua parola.

“Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente”, gli risponde Matteotti, come riporta lo stenografico del 30 maggio 1924, che oggi acquista uno straordinario valore storico.

C’è solo da commuoversi nell’assistere alla ricostruzione di quel giorno di grande nobiltà politica e morale rivissuto a Montecitorio e trasmesso in diretta Rai. Con la presenza di studenti coinvolti nell’evento e premiati.

L’attore Alessandro Preziosi ha riletto, ma soprattutto interpretato -anche rievocandone l’atmosfera con abilità- il discorso di Matteotti dallo stesso scranno da cui l’aveva pronunciato il leader socialista. Un posto che non sarà più occupato da nessun altro deputato della Repubblica. Resterà libera la poltrona di un uomo libero, a perenne memoria di quanto sia non solo giusto, ma importante dar prova di indipendenza politica e di dignità personale sempre, a prescindere dalle convenienze o dal vile cinismo del “ma a me, chi me lo fa fare?”.

“Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”, dirà Matteotti, rivolgendosi ai compagni del suo partito, mentre tornava a sedersi, per l’ultima volta su quei banchi, tra urla e improperi.

Ma cent’anni non sono passati invano, come tutti, da destra a sinistra, hanno sottolineato con incoraggiante unanimità d’animo nel ricordo e nell’esempio di un grande Italiano.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova