“Ci saranno sorprese”, ha annunciato Giorgia Meloni a proposito dei nuovi vertici dell’Unione europea, non si sa se auspicandole o tenendole riservate per le trattative in corso. Certo è che le grandi manovre al Parlamento di Strasburgo hanno intanto registrato un sorpasso: il gruppo dei conservatori guidato dalla leader della destra italiana ha scavalcato i liberali di Emmanuel Macron, diventando la terza componente più consistente dopo quelle dei popolari e dei socialisti.
Ma non può essere questa la “sorpresa” evocata o invocata, anche perché la formale scadenza per costituire i gruppi nell’Europarlamento è fissata per il 15 luglio e i negoziati fervono in tutte le direzioni. Compresa quella della difficile unificazione tra conservatori di Giorgia Meloni e identitari di Marine Le Pen, cioè l’intera galassia anti-progressista sotto lo stesso tetto, moderati e radicali, destre di governo e destre estreme contro i loro governi. Ipotesi che porterebbe il gruppo Meloni-Le Pen a superare i socialisti, e che potrebbe rafforzarsi sull’onda del voto in Francia, domenica prossima, con i lepenisti favoriti nei sondaggi.
Ma non di sola aritmetica vive la politica. Sarà il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, proprio alla vigilia del voto francese, a dover trovare l’accordo sui 4 vertici dell’Ue -a cominciare dal presidente della Commissione-, sui commissari delle 27 Nazioni, ma soprattutto sulle competenze da affidare a ciascuno.
Al nostro Paese, ha già dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, “spetta una vicepresidenza di Commissione e un commissario di serie A”.
Ecco la sorpresa su cui scommette Giorgia Meloni: far tornare l’Italia, terza economia del continente, uno dei sei Paesi fondatori dell’Ue e una delle sette potenze del G7, a contare a Bruxelles.
Troppo spesso la litigiosa politica italiana e i 68 governi che si sono succeduti in 78 anni non sono riusciti a far valere il peso e il valore dell’Italia.
L’Europa è stata vista e vissuta, da Roma, non come una grande opportunità e proiezione dell’Italia, bensì come un lontano e burocratico impiccio, e perciò i posti europei importanti sono stati snobbati. Salvo poi un coro di lamentele se Bruxelles non prende a cuore il tema dell’immigrazione o emana direttive che penalizzano l’industria nazionale o il patrimonio immobiliare italiano, in un Paese dove otto cittadini su dieci sono proprietari di casa.
L’anti-europeismo in Italia è figlio dello scarso impegno politico profuso in Europa. Quante volte ministri italiani sono stati assenti o silenti al momento di scelte decisive.
Su questo, dunque, ben più che sul sostegno al possibile bis di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione con una riconfermata maggioranza tra popolari, socialisti e liberali, il governo italiano gioca la sua credibilità. E Giorgia Meloni la sua capacità di incidere o no nella nuova Europa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova