Le parole volano, ma gli scritti delle leggi rimangono. All’indomani della bufera politica che ha investito il Consiglio provinciale di Bolzano (per aver cancellato da un testo legislativo la dizione secolare di “Alto Adige” sostituendola con “provincia di Bolzano” come corrispondente di “Südtirol”), il governatore Arno Kompatscher (Svp) corre ai ripari. Ricorda che non sarebbe possibile abolire la denominazione invece abolita in Consiglio, perché il nome della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol “è sancito dalla Costituzione”. Ammette che sì, anche in tedesco andava semmai scritto “Provinz Bozen”. E dice che in futuro “non si potrà procedere a colpi di maggioranza” su un tema come questo. Che ha visto tutti i consiglieri di lingua italiana e i Verdi interetnici contestare il diktat politico-linguistico dei consiglieri di lingua tedesca in appoggio all’emendamento cancella-Alto Adige, proposto dalla mini-formazione secessionista Südtiroler Freiheit perché sarebbe un “nome fascista”.
Tuttavia, le rassicurazioni verbali di Kompatscher non bastano al ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, che impugnerà la norma provinciale se non saranno reintrodotte la parola e il concetto di Alto Adige. Né ai partiti che, da destra a sinistra, attaccano la scelta della Svp a Bolzano con interrogazioni in Parlamento a Roma.
Ma il banco di prova per il tardivo ripensamento del governatore altoatesino per ora espresso solo con la stampa, sarà il disegno di legge che il consigliere di Fratelli d’Italia, Alessandro Urzì -colui che ha sollevato il caso- si appresta a depositare “per ripristinare la denominazione Alto Adige nella legge europea approvata”. Legge che rivela un altro e non meno esplosivo profilo di possibile incostituzionalità, perché consentirebbe l’iscrizione all’albo dei medici dell’Alto Adige anche ai dottori che parlano solo tedesco e non l’italiano.
Si deve a una vicenda nata dopo la decisione dell’Ordine dei medici di Bolzano di cancellare dall’elenco l’austriaco Thomas Müller, primario del Laboratorio centrale dell’ospedale del capoluogo perché, su richiesta di chiarimenti urgenti da parte del ministero della Salute e dell’Ordine dei medici, avrebbe mostrato una conoscenza insufficiente dell’italiano. Con la prospettata novità, di fatto medici della Germania e dell’Austria potrebbero iscriversi all’Ordine altoatesino con scarsa o nulla conoscenza dell’italiano, che è la lingua ufficiale della Repubblica.
Come per l’eliminata dizione di Alto Adige, anche in questo caso tutto ruota sul significato dell’articolo 99 dello Statuto d’autonomia. Nel parificare in Regione la lingua tedesca all’italiano, l’articolo stabilisce che quest’ultima “è la lingua ufficiale dello Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente Statuto è prevista la redazione bilingue”. Dunque, le due lingue in Alto Adige sono sullo stesso piano. Ma non al punto che il tedesco possa sostituirsi all’italiano, la cui “primazia” è stata resa ancor più vigorosa da diverse e recenti sentenze della Corte Costituzionale (come la 42 del 2017).
Intanto, divampa la polemica per la sforbiciata toponomastica. “Aver cancellato Alto Adige con un colpo di maggioranza è stato un grave errore, mi auguro che si possa rimediare”, sottolinea Maria Elena Boschi (Italia Viva), eletta proprio a Bolzano con il sostegno della Svp. “Decisione vergognosa”, attacca Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che parla di “aggressione della Svp e dei secessionisti sudtirolesi all’italianità dell’Alto Adige”.
Se l’alpinista Reinhold Messner dice che è giusto preferire il nome di Sudtirolo a quello di Alto Adige, che lui bolla come un’invenzione di Alcide De Gasperi, la senatrice Julia Unterberger (Svp) spiega che il suo partito “non si è reso conto dell’emendamento” e che l’errore “va riparato”. Molto critico con la scelta del Consiglio provinciale il sindaco di Bolzano, Renzo Caramaschi.
In campo anche Michaela Biancofiore (Forza Italia): “L’Italia faccia squadra. Ringrazio il ministro Boccia per aver accolto il nostro appello”. Che è quello -ha spiegato il ministro- di “rendere i testi perfettamente identici e rispettosi della Costituzione”. Altrimenti, ha ammonito, la parola passerà alla Corte Costituzionale.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma