Al vertice informale di Budapest si doveva parlare di Europa, ma i capi di Stato e di governo hanno discusso soprattutto di America. Inevitabile, dopo il voto che ha appena riportato il combattivo Donald Trump alla Casa Bianca, e combattivo anche nei confronti del suo principale alleato al di qua dell’Oceano. Quell’Unione europea che il nuovo presidente degli Stati Uniti accusa di avvantaggiarsi due volte alle spalle dello Zio Sam: esportando i prodotti europei in America con troppa facilità e perciò danneggiando l’industria casalinga, e non adempiendo all’obbligo concordato di versare il 2% del Pil nazionale moltiplicato per 27 Paesi, così da assicurare la difesa della Nato a tutti i suoi 32 Stati-membri. Paradossalmente, l’Europa sarebbe il ventre molle dell’Occidente.
Ma se Trump ha Elon Musk, il geniale supermiliardario destinato a un ruolo di primo piano nel governo dopo aver sostenuto con ogni mezzo la campagna elettorale del vincitore, l’Europa ha Mario Draghi. Una personalità del tutto diversa da Musk, l’ex presidente del Consiglio in Italia e già presidente della Bce a Francoforte, ma alla quale il Vecchio Continente sta di fatto ritagliando una funzione simile da uomo decisivo e visionario per il continente. Tant’è che i governi europei e la stessa Ursula von der Leyen, presidente della Commissione che a Draghi aveva richiesto un rapporto politico-economico per il rilancio dell’Ue, da lui hanno ascoltato come reagire all’ultima e insidiosa sfida di Trump: l’America pronta ad abbandonare l’Europa al suo destino e declino.
Draghi ha spiegato che la differenza di produttività tra loro e noi è “molto ampia e quindi dovremmo agire”. Ha sottolineato che Trump darà impulso e protezione -anzi, protezionismo con l’introduzione di dazi-, ai settori innovativi tutelando le industrie tradizionali, che sono “proprio le industrie dove noi esportiamo di più negli Stati Uniti”. Dall’automobile all’alimentare, ambiti, peraltro, di primario interesse italiano.
Soluzione? “Negoziare con l’alleato americano con uno spirito unitario”, risponde Draghi. Non più 27 piccoli indiani al cospetto del gigante statunitense, ma l’Unione europea di nome e di fatto. Negoziare con forza, ma niente guerre commerciali.
Lo stesso 2% del Pil per la comune difesa si può raggiungere rispettando il Patto di stabilità, dice Draghi. Si può: il punto è decidere come.
L’Europa deve puntare sulla competitività, specie nel settore tecnologico, il cosiddetto high tech, dove Trump sfrutterà anche le potenzialità sperimentate con successo da Musk, imprenditore in vari campi (e già suo prezioso consigliere: ha partecipato alla telefonata tra Donald e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky).
E’ proprio lì, nell’ambito tecnologico e digitale, che siamo “molto indietro”, ricorda Draghi.
Il messaggio è chiaro: basta perdere tempo. L’Europa deve fare le riforme per stare al passo del mondo che cambia, senza farsi indebolire da Trump.
Pubbllicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova