Tutti attendevano il giovane debuttante al varco. E lui, l’europeista Monsieur Macron, il nuovo presidente francese che gode di un consenso senza pari in patria, non li ha delusi. Al suo primo Consiglio ha battezzato la prima risposta dell’Unione dopo l’inizio delle trattative per la Brexit e il minacciato disimpegno di Trump con la “vecchia” Europa: all’unanimità i capi di Stato e di governo hanno dato il via libera alla tanto invocata, ma mai finora realizzata difesa comune. Non è poco, in epoca di terrorismo, prevedere una cooperazione militare contro le minacce e le crisi. Nasceranno battaglioni misti di reazione rapida con la divisa verde e l’emblema blu dell’Europa, così come centri di addestramento congiunto e di assistenza medica insieme. Solo un passo in avanti oppure una svolta “storica”, come già prospetta l’esordiente Macron, rappresentante -dopo l’uscita della Gran Bretagna- dell’unica nazione europea con diritto di veto all’Onu e con arsenale nucleare? Meglio essere prudenti. Troppe volte l’Europa sembrava pronta a sostenere il cambiamento naufragando nella retorica. E’ successo, del resto, anche ieri con un mare di belle parole spese da molti per l’Italia alle prese, da sola, col fenomeno delle migrazioni in Europa. Ma in questo caso nessuna unanimità ha suggellato il maggiore e consapevole impegno che il presidente del Consiglio, Gentiloni, pur reclamava. Ricreare fondi per l’Africa e condividere lo sforzo che l’Italia compie nel Mediterraneo non è meno importante dell’accordo che è stato invece trovato per smascherare i “combattenti” europei e la violenza in Rete a sostegno dell’autoproclamatosi Stato islamico. Aiutare e distribuire i migranti fra tutti i ventisette Stati non è meno rilevante della riaffermata volontà di affrontare compatti quei problemi dell’economia, del lavoro e delle banche che da tempo ci affliggono.
Con l’arrivo di Macron, l’addio dell’euroscettica Gran Bretagna e la sconfitta elettorale dei populismi a raffica (Austria, Olanda, Francia), l’Europa ha oggi una grande opportunità davanti a sé: rifondarsi, ritrovare quella dimensione umana e sociale di “comune destino” che la crisi economica prima e il fondamentalismo di matrice islamica poi hanno messo a grave rischio. Ma il tema della solidarietà fra Stati membri, specie a fronte del dramma universale dell’immigrazione, è prioritario per capire se la musica è cambiata davvero.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi