Debora Serracchiani, nata a Roma, trentotto anni, è il volto nuovo del Pd. Eletta al Parlamento europeo con una valanga di preferenze nella circoscrizione Nord-est, vive a Udine, dove esercita la professione di avvocato del lavoro. Ma la sua vicenda politica è diventata un caso nazionale -e lei “la nuova stella della sinistra in Italia”, come hanno scritto giornali stranieri-, per un discorso di dodici minuti tenuto all’assemblea nazionale dei circoli del Pd, la scorsa primavera. Una requisitoria contro la dirigenza e gli errori del partito, sfociati nelle dimissioni dell’allora segretario, Walter Veltroni.
Come vive una romana in Friuli?
“Sembra una risposta scontata, ma è la mia risposta: molto bene. La qualità della vita è migliore di sicuro, e mi sono integrata bene, perché mi hanno accolto bene. I friulani sono molto particolari. Direi unici”.
Che cosa ha appreso, e che cosa ha portato?
“Ormai sono quindici anni che abito in Friuli, ma all’inizio non è stato facile. Perché un romano forse è anche invadente, ma aperto nei rapporti umani. Se a Roma uno va per tre giorni dallo stesso panettiere, alla fine ne conosce la vita. Invece in Friuli dopo un anno col panettiere ero ancora al “buongiorno” e al “buonasera”. Dunque, sono persone discrete. Discrete, ma allo stesso tempo attente a quel che gli succede attorno: la solidarietà e l’associazionismo sono diffusi. Sono persone che danno tanto alla società. Per esempio i donatori di sangue, i trapianti, cioè realtà belle e molto presenti. Perciò nelle relazioni si vivono due fasi. Nella prima prevale il riserbo. Nella seconda, quando il rapporto è approfondito, si scopre la grande generosità dei friulani. Che cosa ho portato? Chi lo sa. Forse la battuta, il sorriso”.
Ma perché è salita lassù, terra di confine?
“L’anno prima della mia laurea in giurisprudenza, nel ’94, il mio compagno, romano anche lui, s’era trasferito per lavoro”.
Il primo comizio?
“Sei anni fa, quando a Udine c’erano le elezioni circoscrizionali, comunali e regionali”.
Mai fatto politica in precedenza?
“Onestamente no. Intendiamoci, non ero fra quelli che saltano la pagina della politica dalla lettura dei giornali. Però non posso dire di aver fatto politica”.
Più militante il suo compagno, allora?
“Al contrario: meno ancora di me!”
Costui l’avrà votata alle ultime e per lei fortunatissime europee?
“Mi auguro di sì. Io almeno ho cercato di coinvolgerlo in questa tappa…”.
Che cosa ama e che cosa detesta della politica?
“A me piace molto il confronto, il confronto delle idee. E mi piace l’idea che la politica “serva”, cioè che sia proprio un servizio dato alle altre persone. La politica invece non mi piace quando dà l’impressione di galleggiare”.
I dodici minuti del suo noto discorso all’assemblea nazionale dei circoli del Pd, lo scorso aprile, le hanno cambiato la vita. Da lì è nata anche la sua candidatura europea. Ce li racconti…
“E’ stato un caso. L’inizio è stato davvero un caso. Io avevo scritto l’ossatura di quel discorso dopo le dimissioni di Walter Veltroni dalla guida del Pd. E l’avevo un po’ presentato anche in precedenza, cioè all’assemblea di Udine. Dopodiché e quasi casualmente mi chiesero se volevo andare a Roma, perché c’era ancora posto sul pullman. Risposi persino di no, perché avevo un impegno professionale. Ma l’impegno è saltato all’improvviso. E mi sono detta: ma sì, andiamo a sentire che aria tira al partito, da vicino”.
Mai perdere un pullman nella vita…
“Direi proprio di no: un pullman, un tram, un treno… Non vanno persi”.
Lei ha capito subito l’effetto politico che stavano provocando quelle parole?
“Per me è stato uno sconvolgimento totale della mia vita. Ma non avevo capito affatto le conseguenze, al contrario. Credo di averlo fatto con grande serenità, quel discorso, proprio perché sottovalutavo la forza delle parole. Figuriamoci, già le avevo dette a Udine. Ed erano parole che chissà quante volte i cittadini si sono scambiati in famiglia, a casa, al bar. Cose per me banali, ma elementari. Forse sono “esplose”, rimbalzando anche sulla rete, perché in quel luogo, il luogo del partito, raramente si pronunciavano o si sentivano”.
La mamma che le disse dell’orazione-boom?
“Nessuno se ne rese conto. E non credo che sia del tutto apprezzato dai miei genitori quello che mi sta succedendo. Loro si erano appena trasferiti da Roma a Udine per stare più con me, e io li ho praticamente mollati…Mi sento molto responsabile del fatto che non sto facendo la figlia fino in fondo”.
Ma lei è una tenerona con mamma e papà?
“Non so se sono tenera. Abbiamo un rapporto molto forte. Io ho anche un fratello minore, che vive a Milano per lavoro, ma che in questo momento -guardi un po’- è distaccato a Bruxelles per due anni. Pensi che ho festeggiato il capodanno a Bruxelles da lui, quando la mia candidatura non era ancora nemmeno immaginabile!”.
Mai perdere un capodanno a Bruxelles…
“Mai…”.
Perché il Pd è sull’orlo della crisi, e non solo di nervi?
“Noi siamo mancati nella linea politica. Abbiamo dato corso a un’idea geniale: fare un partito riformista che tenga vicino culture politiche diverse. Era palesemente necessario. Tant’è che, dove non è stato fatto, il centro-sinistra fatica ancor più che da noi. Ma poi è mancato lo scatto. C’è stato una specie di cortocircuito. Non siamo riusciti a mescolare le due cose per farne una sola. Come ha detto qualcuno: è mancata l’amalgama. E’ mancato qualcuno che dicesse: il Pd pensa questo. Oppure su tal tema, il Pd dice sì oppure dice no. Non si è riusciti a dargli un’identità e, di conseguenza, neanche una voce”.
Sarà un congresso o una corrida, quello del Pd in autunno?
“Il congresso servirà per la terapia d’urto che non abbiamo avuto, servirà per indicare la crisi. Ma non si parli di “resa di conti”, di “battaglie”, di “vincitori e vinti”. Dovremo dirci le cose con chiarezza e in modo anche aspro. Però il giorno dopo il congresso, tutti torneremo a lavorare nello stesso partito. Stare in lunga degenza, non ci ha aiutato. Dunque, sì alla terapia d’urto per rianimarci. Ma poi tutti fuori dalla sala di rianimazione”.
Che direbbe ai quattro candidati alla segreteria, e uno dopo l’altro, cioè Bersani, Franceschini, Marino e Nicolini?
“A Bersani manifesterei una mia preoccupazione. Alcune sue idee sembrano considerare superato il Partito democratico. Vorrei che mi indicasse con esattezza il suo obiettivo. A Marino chiederei di non frammentare, visto che le cose che dice sono molto giuste. Ha senso anteporre se stessi all’interesse di un partito? Da Franceschini vorrei un impegno determinatissimo per tirare fuori la linea politica, tenendo insieme la Binetti e la Serracchiani. Gli chiedo lo sforzo maggiore. Quanto a Nicolini, gli domanderei di ampliare gli orizzonti, non pensando che tutti i mali siano legati solamente all’intelletto”.
C’è un grande assente: Beppe Grillo. Domanda?
“Tempo fa evocai un Pd “da Grillo alla Binetti”. Era una forzatura, d’accordo. Però dovremmo tutti avere la stessa finalità: fare opposizione. Più che una domanda, a Grillo darei una risposta: facciamo opposizione in modo diverso. Lui si muove spesso in contrasto col Pd, vota Italia dei Valori, non fa in modo, obiettivamente, che io posso pensarlo nel mio partito. Posso pensarlo vicino al mio partito. Anche perché a me interessa costruirlo, il partito, non distruggerlo”.
Favorevole o no all’espulsione degli immigrati clandestini in Italia?
“Assolutamente non mi piace il termine espulsione. Proprio in questi giorni in Europa ci stiamo occupando dei respingimenti e delle violazioni di norme internazionali anche da parte del nostro Paese. Io non sono favorevole, per intenderci, né all’illegalità né all’immigrazione irregolare. Il clandestino che delinque, è uno che delinque. Se quello che non delinque ha i requisiti per restare, deve poter restare. L’Europa dovrebbe impegnarsi tutta ad aiutare gli immigrati nei luoghi d’origine. E’ il modo più saggio per non farli venire”.
Favorevole o no al matrimonio omosessuale?
“Favorevole. E’ giunto il momento di riconoscere i diritti alle coppie che non sono soltanto diritti individuali. Naturalmente, ci sono varie forme per farlo. A me convince di più il modello francese”.
Favorevole o no al ritorno del nucleare?
“No. E’ uno strumento ormai datato. Negli anni Novanta abbiamo perso l’occasione della cosiddetta terza generazione. Adesso è tardi. E poi è un problema logistico. Noi abbiamo bisogno di energia ora, non fra dieci anni. E i problemi delle scorie nucleari….Bisogna invece puntare sulle energie rinnovabili”.
Il privato è politica, o lei coltiva un privato al di là del partito e di Strasburgo?
“Noi dovremmo riuscire a separare il privato dalla politica sempre. Anche per una questione di discrezione. Spero che alla gente non interessi ciò che io faccio di non politicamente importante. Però attenzione. Il politico un proprio privato da difendere ce l’ha, ma è un privato che è molto legato anche alla moralità. Per cui è giusto che ci sia una sovrapposizione tra pubblico e privato, e che il mio privato non possa mai essere in contrasto col pubblico. Con l’onore, con la dignità, col decoro. Il valore dell’esempio”.
A proposito di esempi. Lei ha citato, di recente, Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Ma uno era democristiano, l’altro comunista…
“Io non ho detto affatto, nel mio libro, quel che un titolo del Corriere indicava, cioè che io non distinguevo tra l’uno e l’altro. Questo mi ha molto infastidito. Io ho detto di considerare quelle due figure entrambe importanti, dal punto di vista della nascita del Partito democratico. Ma sono figure profondamente diverse. Se non lo sapessi, avrei sbagliato tutto nella vita. Ormai quel titolo mi perseguita. Pazienza, me ne farò una ragione”.
A quando una donna alla guida del Pd?
“Spero che per le donne ci sia innanzitutto la possibilità di “esserci”. Perché spesso ci siamo, ma nelle liste, meno tra gli eletti, negli organigrammi, nella dirigenza. Lo sforzo va fatto su questo. Poi la donna viene da sé”.
Che estate farà?
“Farò il giro delle feste del Pd…”.
Un’estate politica, un’estate triste…
“Ma no. Sono comunque riuscita a ritagliarmi una settimana in Grecia, dove cerco di tornare ogni anno. Ne amo le isole”.
Avvocato o politica, qual è la passione più grande?
“All’avvocato non intendo rinunciare, perché fa parte di me. Diventare avvocato è stata una delle più grandi soddisfazioni che ho avuto dalla vita. E mi serve anche per conservare l’indipendenza economica dalla politica, per rimanere un po’ liberi col pensiero”.
Avvocato delle cause perse?
“Io sono avvocato del lavoro, e molto contenta dell’esito delle mie cause. Se invece la domanda mirava a scavare nell’idealismo…”
Mirava…
“Quando c’è il principio da far valere, mi appassiono di più, sicuramente. Mi butto, eccome”.
Per questo ha scelto la “causa persa” del Pd?
“No, scherza? E’ per farlo vincere, che ho scelto il Pd”.
Pubblicato il 26 luglio 2009 sulla Gazzetta di Parma