Diceva un noto rivoluzionario che in politica non bisogna mai tornare indietro, “neppure per prendere la rincorsa”. Ma anche se i proclami di chi sogna di cambiare il mondo sono romanticismo allo stato puro, ancora non era capitato d’ascoltare il nuovo e controrivoluzionario pensiero di chi sembra di volerlo invece fermare, il mondo.
“La libertà di movimento con l’Unione europea è destinata a finire”, ha detto Theresa May, primo ministro della Gran Bretagna, in un discorso per spiegare come avverrà il processo della Brexit.
Tutto si poteva immaginare in una trattativa soprattutto economica fra Londra e Bruxelles che fa più passi indietro che in avanti. Ma il principio della libertà delle persone e delle merci a circolare oltre ogni confine, non può essere oggetto di mercanzia. Perché fa parte della stessa radice che accomuna la più antica democrazia del Continente -il Regno Unito-, e le altre ventisette nazioni “senza frontiere”. Non nel senso che i confini si siano liquefatti o non debbano essere ancora oggi difesi dai nemici, cioè dal terrorismo internazionale. Ma nel senso che i popoli possano spostarsi e viaggiare come se tutti appartenessero a un solo, grande e ricco territorio denominato Europa. In fondo, dopo il disastro e la follia di due guerre mondiali in casa, i governi avevano finalmente capito che il bene prezioso della pace è gemello dell’insopprimibile libertà. Con i suoi trattati e le sue istituzioni, l’Unione ha suggellato questo nuovo corso che ormai è diventato della terza età: oltre settant’anni di tranquillità e di gente che gira liberamente da una capitale all’altra.
Eppure, quasi nelle stesse ore un altro campione dei confini chiusi, il presidente nordamericano Trump, annuncia dazi del 25 per cento sul ferro e del 10 per cento sull’alluminio. E’ anch’essa una minaccia da indietro tutta: tornare al protezionismo e alle guerre commerciali che tale scelta potrebbe fatalmente innescare.
Non occorre ricordare alla premier May che, aprendo le loro frontiere, gli europei hanno attuato, con un paio di secoli di pur grave ritardo, le aspirazioni di libertà, eguaglianza e fraternità che dalla Francia sono divampate ovunque. Non c’è bisogno di riferire al presidente Trump che la politica dei dazi ebbe un discreto successo nel Medioevo.
Ma in questo loro mondo alla rovescia dovrebbe pur valere l’unico sogno che mai tramonta: più ponti e meno muri per tutti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi