Prima o poi ogni governo sempre lì va a finire: alla voglia di fare una nuova legge per regolamentare le intercettazioni telefoniche. Era il nervo scoperto di Silvio Berlusconi quando stava a palazzo Chigi, ed è oggi la spina nel fianco di Matteo Renzi, che contesta la cattiva abitudine -“cattiva” a sentir la politica-, di rendere pubblico ciò che spesso non ha rilievo neanche penale.
Con ogni evidenza hanno lasciato il segno le fresche dimissioni del ministro, Federica Guidi, per quello che si è letto di quanto lei avesse detto al telefono parlando col compagno, Gianluca Gemelli, nell’ambito dell’inchiesta promossa dalla Procura di Potenza sul giacimento petrolifero Tempa Rossa. Un addio dettato da squisite ragioni di opportunità politica e comportamentale. Che ha però innescato l’ennesimo conflitto irrisolto fra magistratura e politica col solito terzo incomodo della stampa che pubblica e divulga conversazioni private o irrilevanti, secondo i governi e i presidenti del Consiglio che si alternano, ma che sul punto curiosamente concordano: occorre intervenire per riaffermare il diritto costituzionale alla riservatezza anche per chi esercita funzioni istituzionali o incarichi pubblici.
Ma qui sono in ballo un paio di principi entrambi importanti. Il primo riguarda la tutela di chiunque, non solo di un politico, che magari si vede sbattuto in prima pagina senza aver commesso nulla di male. Inaccettabile. Il secondo concerne il diritto del cittadino di venire a conoscenza in modo corretto di fatti e retroscena che, a prescindere dagli effetti penali -di cui, peraltro, sono spesso intrisi-, aiutano a ben comprendere il mondo che li circonda. Emblematico fu il caso del presidente americano Richard Nixon, il cui linguaggio volgare quando parlava al telefono con i collaboratori, e che fu reso pubblico, si rivelò un pugno nello stomaco per tutti, al di là della vicenda del celebre caso-Watergate che ne provocò le dimissioni quarantadue anni fa.
Piaccia o no alla politica, il personaggio pubblico ha una sfera attenuata della propria riservatezza. E a differenza dell’indifeso cittadino qualsiasi, non può lamentarsi se, pizzicato per intercettazioni legittime e riguardanti un suo interlocutore, ne viene fuori malconcio. Il protervo diritto all’onnipotenza tipico di ogni potere qui non vale. E allora: basta coi mostri in prima pagina. Ma niente museruola alla cornetta per celare scomode verità.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi