Quando un muratore in pensione, che si chiamava Adriano Trevisan e aveva 77 anni, moriva in ospedale dopo dieci giorni di ricovero, nessuno avrebbe allora immaginato, il 21 febbraio 2020, che quel padre di tre figli di Vo’ Euganeo, Padova, sarebbe diventato, due anni dopo, la prima vittima italiana dei quasi 153 mila morti per Coronavirus (e oltre 12 milioni di contagiati finora registrati).
Eppure, la dolorosa statistica non dice tutto della pandemia che ha cambiato il mondo e sconvolto le nostre vite. All’inizio sembrava malattia lontana: la Cina non è vicina. Ma il virus non ha chiesto il passaporto per entrare in Italia, primo Paese d’Europa a essere colpito in maniera drammatica. E primo Paese d’Europa ad aver reagito con rigore, al punto da finire in alto alla classifica sia per numero di vaccinati, sia per velocità e intensità nella ripresa economica.
Abbiamo, dunque, vissuto allo stesso tempo il peggio dell’epidemia e il meglio nella dimostrata capacità, civica e istituzionale, di interpretare, per resistere, quella frase che campeggiava ovunque, mentre nei balconi si cantava, chiusi in casa e spaventati: “Andrà tutto bene”.
Due anni dopo si può discutere a lungo se quest’esperienza collettiva, paragonabile a una guerra non solo per il numero di caduti, ammalati ed eroici medici e infermieri in trincea, ci abbia reso migliori o no.
La prevalsa solidarietà nell’”ora più buia” delle bare nei camion militari a Bergamo (straziante e indelebile memoria familiare e nazionale) e la straordinaria responsabilità di cui ha dato prova la stragrande maggioranza degli italiani, fidandosi e affidandosi alle loro Istituzioni per vaccinarsi e per intraprendere in economia con lo spirito e l’ingegno che sappiamo tirar fuori nell’ora della verità, incoraggiano e rendono orgogliosi. Scoraggia, invece, la frattura che s’è creata con l’irriducibile minoranza dei No Vax. E non per la diversità di opinioni, sale della democrazia, ma per la difficoltà della discussione argomentata. Come se una parte pur piccola di nostri fratelli si fosse isolata, spesso anteponendo al giudizio il pregiudizio, e paure e polemiche alle scoperte della scienza e alle riflessioni della politica. Che pure ci ha messo del suo, specie all’inizio, cambiando di continuo indicazioni sul da farsi e confondendo, così, i cittadini.
Due anni dopo, il ricordo della sofferenza e la speranza per la ripartenza non di un Paese grande, ma di un grande Paese.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi