Quando ci dissero, a marzo, che bisognava chiudersi in casa, nessuno fiatò. Niente obiezioni dalle Regioni alle decisioni del governo, zero contestazioni dai cittadini, polemiche al minimo dall’opposizione: tutti capirono l’urgenza del momento e il dovere a cui l’Italia era tenuta per i malati in ospedale, i medici e gli infermieri impegnati, la salute di ciascuno insidiata da un virus contagioso e, allora, sconosciuto.
Oggi la situazione si ripresenta nella sua gravità (i picchi di positivi e di decessi si susseguono di giorno in giorno), ma con due importanti differenze, una positiva, l’altra negativa: l’esperienza vissuta in questi mesi ha reso le persone più consapevoli e perciò attente nell’indossare le mascherine, tenere le distanze e lavarsi spesso le mani. In compenso la diversità nella comunicazione e spiegazione degli obblighi da rispettare, oggi disorienta. Tanto essi furono chiari, coerenti e utili nella prima fase, quand’era necessario resistere al nemico, quanto ora appaiono confusi, illogici, incomprensibili. Come ben testimonia il nuovo tricolore del Paese al tempo del coronavirus, con quel giallo, arancione e rosso che sventola sui territori per indicare i diversi livelli di rischio. Ma perché la Campania e la Provincia di Bolzano, che alle ore 17 erano predestinate al rosso anche sull’onda del grido di dolore dei loro governatori, in serata sono diventate gialle? Come agiscono nel concreto i 21 parametri (ma poi perché 21? Non potevano essere 4 o 5?), per determinare la classifica colorata del governo? E sulla base di quali dati reali si prendono le decisioni, visto il moltiplicarsi dei casi non più per media settimanale, ma di ora in ora?
Il punto non è chiedere al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che illustri meglio in tv, dov’è ormai di casa, la sfilza dei suoi Dpcm illeggibili anche per un cittadino mediamente istruito e informato. Il punto è avere -come accadde nove mesi fa: dunque si può rifare quel bell’esempio-, prescrizioni chiare, uniformi e condivise con quanti sono chiamati ad applicarle e a farle rispettare.
Gli italiani devono capire perché i parrucchieri sono aperti e gli estetisti chiusi, o perché una palestra oppure un teatro, un cinema, un’orchestra virtuosi con ogni misura di prevenzione adottata, non meritino civica fiducia, invece che severi controlli. Altrimenti verrà sempre meno quell’unità di intenti fra tutti, cittadini e istituzioni, che questa seconda emergenza oggi richiede ben più della prima.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi