Si chiama giustizia la grande assente di tutte le ripartenze. Ma i fatti s’incaricano sempre di riportarci alla realtà, oltre la nuvola di parole che avvolge la fase 3 delle riaperture quasi al completo.
E’ di ieri la notizia che il “nero” Massimo Carminati, uno dei protagonisti nel processo ribattezzato mafia capitale (anche se la Cassazione ha fatto cadere lo specifico reato del 416 bis), è tornato in libertà dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione. “Scadenza dei termini di custodia cautelare”, è la formula che testimonia la sconfitta dello Stato, incapace di celebrare in tempo tutti i gradi di giudizio. E perciò, in mancanza di una sentenza definitiva, l’accusato che ha già scontato buona parte della pena più alta che gli si contesta -la corruzione-, può uscire, secondo il Tribunale della libertà.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, manderà gli ispettori per verificare ogni aspetto della scarcerazione.
Nelle scorse settimane un’altra resa della giustizia: 376 detenuti ad alta pericolosità, fra cui boss mafiosi, erano stati mandati a casa per motivi di salute. Il rischio del virus fece riaprire le celle di criminali.
Il ministro Bonafede ha puntato a riportarli in galera con un decreto-legge, mentre si dimetteva il capo dell’amministrazione penitenziara, Francesco Basentini, e il magistrato antimafia, Nino Di Matteo, apriva una dura polemica col ministro, accusandolo di avergli a suo tempo proposto il ruolo di Basentini, salvo averci poi ripensato.
Come se non bastasse, le intercettazioni telefoniche che sono intanto uscite sull’onda del caso Palamara, rivelano una lotta fra correnti della magistratura e una politicizzazione strisciante da lasciare sbigottiti.
Ci sono, dunque, tutti gli elementi che dovrebbero indurre il Parlamento a cambiare nel profondo non solo il Csm, ma anche la credibilità di un sistema che non assicura decisioni efficaci prese in tempi ragionevoli. Senza certezza della pena e con dibattimenti alle calende greche non c’è giustizia per nessuno.
Penale, civile, amministrativo: a ogni settore la sua grave difficoltà. Il sistema è prigioniero dei cavilli e tra il diritto alla presunzione d’innocenza e il dovere della pena per i colpevoli accertati come tali dalle Corti, lo Stato non trova un equilibrio. Un sistema pasticciato e impotente: molte imprese dall’estero evitano di investire in Italia.
Ma se la giustizia non si riforma ora, quando?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi