Quando si è in trincea, anche l’importante diventa secondario. Importante è sapere se questo terzo giorno consecutivo di rallentamento nella crescita dei contagi (ma non, purtroppo, delle vittime), è il segnale che il peggio è finito, oppure che deve ancora arrivare. Importante è aver chiarito dalla viva voce dello stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che il termine semestrale del 31 luglio indicato nella Gazzetta Ufficiale per dichiarare lo “stato di emergenza” da coronavirus, non significa affatto che la nostra consapevole reclusione in casa finirà solo con l’arrivo del Generale Agosto. Importante, infine, è aver aumentato le sanzioni di denaro, e non solo i controlli, nei confronti di quegli irresponsabili, ancora troppi, che passeggiano, corrono e s’inventano bugie pur di infrangere il civico isolamento che ci siamo dati per sostenere medici e infermieri e salvare il maggior numero di vite possibile. Siamo ormai imprigionati da 18 giorni (prigione, peraltro, dorata: in poltrona e accanto ai nostri cari) per la libertà degli altri, e perché siamo italiani. I più indisciplinati della Terra, ma capaci all’unisono e perfino cantando di far vedere al mondo di che buona e bella pasta siamo fatti.
Eppure, proprio quando l’emozione e la stanchezza ci assalgono in attesa della svolta, dobbiamo invece essere più fermi e rigorosi.
Nella settimana cruciale per capire a che punto è la battaglia di primavera, dobbiamo più di prima serrare le fila e spalancare finestre e balconi: vinceremo, lo sappiamo, ma è ancora lunga.
Dopo esserci difesi dalle insidie del morbo che attacca a tradimento, adesso siamo chiamati a resistergli. Per l’Italia è la prova della sua maturità. Compatti nell’ora ancora buia. Buia, ma non per sempre.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi