Sembrerà strano, ma l’annunciata fase 2 di graduale liberazione dal virus non partirà il 4 maggio: è cominciata ieri. Dopo un anno di lavoro, a Genova è stata posata l’ultima campata del nuovo ponte ancora senza nome, ma già simbolo della ripresa possibile come accadde fra le rovine del dopoguerra.
Rovinoso fu il crollo del Morandi, nell’agosto di due anni fa, coi suoi 43 morti innocenti. Rovinosa continua a insinuarsi l’epidemia che uccide, contagia e tiene sulla corda un’intera nazione chiusa in casa, in attesa di affrontare con la sua dote principale, che è il sapersi rimboccare le maniche e lavorare, una crisi economica senza precedenti.
Ma nella rinascita di Genova c’è quasi un programma di governo sul che fare per ripartire. Tra indotto e personale in cantiere un migliaio di lavoratori, tecnici e ingegneri si sono alternati giorno e notte in tre turni per portare a compimento il gioiello d’acciaio. Solo a Natale sono rimasti fermi per cesellare questo brillante d’Europa, come già lo considerano. Il progetto è stato donato alla sua città dall’architetto Renzo Piano e realizzato con un lavoro di squadra dei gruppi Salini Impregilo e Fincantieri che si sono consorziati fra loro all’ombra di un Tricolore fatto di luci e lungo quanto il ponte, cioè 1.067 metri.
Tutto s’è svolto all’insegna dell’unità che fa la forza, concetto condiviso anche dalla politica. Il sindaco di centrodestra, Marco Bucci, è il commissario alla ricostruzione d’intesa col governo-Conte e col centrosinistra. Neppure la burocrazia ha potuto rallentare l’opera che sarà presto inaugurata. Evoca un vascello di colore bianco, come un mare dell’innocenza per l’Italia chiamata a rimettersi in cammino.
Il vento di Genova vale più degli annunci. Se tutti faranno la cosa giusta e le istituzioni accompagneranno l’iniziativa degli italiani, la fase 2 sarà vissuta con speranza. Imparino i partiti: non muri, ma ponti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi