Non si può morire a 18 anni, non si può morire per aver seguito con speranza le indicazioni delle Istituzioni per battere il Covid-19.
Qualunque sia l’esito dell’inchiesta subito aperta per omicidio colposo, la vicenda di Camilla Canepa, che il 25 maggio aveva partecipato con entusiasmo alla giornata aperta per vaccinarsi con AstraZeneca, e che ieri è morta all’ospedale di Genova dove era stata ricoverata -e per ben due volte operata-, per una trombosi del seno cavernoso, lascia senza parole. Non solo per il destino crudele riservato a una ragazza che era felice di immunizzarsi per ritrovare quella libertà a tutti conculcata dal virus, e che nemmeno un mare di lacrime può rendere accettabile per chi resta. Ma anche per il balletto sconcertante su AstraZeneca e per l’immediato scaricabarile istituzionale delle eventuali responsabilità, se la magistratura dovesse accertare ciò che ancora non si sa, cioè se esista o no un nesso fra la somministrazione del vaccino e la morte di una giovane che -pare- soffrisse di una malattia autoimmune del sangue. Era stato segnalato sulla scheda che si compila al momento della puntura? Anche questo è tema di indagine.
Ma, in attesa che magistrati e medici stabiliscano che è successo alla povera ragazza di Sestri Levante, gli scienziati del Cts ora dicono di non dare più AstraZeneca a chi ha meno di 60 anni. E, a chi ha già fatto la prima puntura con questo vaccino, di fare la seconda con Pfizer o Moderna. “Il governo tradurrà queste raccomandazioni in modo perentorio”, annuncia il ministro della Salute, Roberto Speranza.
Da tempo gli italiani avevano percepito il caos, in Italia e in Europa, con AstraZeneca: prima sì, poi no, poi forse o non per tutti. Ma il patto che lega cittadini e Istituzioni (Stato, Regioni o Cts che siano) si basa sulle informazioni chiare, precise e sicure. La lealtà di chi fa la fila per farsi iniettare quello che le Istituzioni distribuiscono e garantiscono, indipendentemente -si spera- dalla quantità delle dosi acquistate e perciò a disposizione, non può essere ripagata dai contrordini, dalle incertezze, dalle ambiguità del tipo “io non vieto, ma sconsiglio”.
Così si crea solo pericolosa confusione e si alimentano i dubbi di chi diffida dei vaccini. La scelta volontaria degli italiani, che in massa e con grande senso civico stanno seguendo le indicazioni delle Autorità competenti per uscire dall’incubo del Coronavirus, si fonda su una parola che si chiama fiducia. Guai a incrinarla.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi