Contrordine, Emmanuel Macron non è più il “nemico principale” del governo italiano. Il presidente francese era stato più volte attaccato per la sua insensibilità sull’immigrazione, per la sua politica di concorrenza sleale nei confronti dell’Italia in Libia, per quel modo di fare a metà fra il lezioso e l’odioso con cui si rivolge, napoleonicamente, all’universo. Adesso, invece, il Macron che a sua volta si vantava d’essere il nemico numero uno del populismo alla Salvini, diventa addirittura un modello per l’economia italiana, avendo il presidente francese appena annunciato un taglio fiscale da 25 miliardi a beneficio di imprese e famiglie. Un colpo di scure che farà salire il rapporto fra deficit e Pil dal 2,6 per cento di quest’anno al 2,8 nel 2019. Scelta troppo ghiotta per non essere subito applaudita, meglio, emulata: se Parigi può sforare, perché Roma no?
E’ Luigi Di Maio a prendere l’esempio al volo: “Siamo un Paese sovrano esattamente come la Francia. I soldi ci sono e si possono finalmente spendere a favore dei cittadini. In Italia come in Francia”.
Meno tasse e più deficit, ecco il modello-Macron per la crescita. Se va bene per loro, non potrà che andar bene anche per noi. Del resto, anche in anni recenti Francia e Germania s’infischiarono di rispettare i rigidi parametri europei (“stupidi”, li aveva definiti Romano Prodi), anteponendo l’interesse del popolo francese e di quello tedesco.
Tutto bene e tutto giusto, dunque, se non fosse per un piccolo dettaglio: il mostruoso debito pubblico in Italia, che ormai viaggia oltre il 130 per cento del Pil. Più di 2.300 miliardi di euro, secondo la Banca d’Italia. Tale debito ereditato dal passato è la vera zavorra sul futuro. Ostacola il rilancio, ci fa diventare bersaglio dei nord-europei, in eterna polemica contro “gli spendaccioni di Roma” che non mettono i conti a posto. A nulla vale ricordare le ricchezze familiari e patrimoniali degli italiani, se non per il fatto che esse rendano solida la nostra economia e legittimo il posto dell’Italia fra i Grandi del mondo.
Abbassare quell’esposizione dello Stato da troppo tempo a troppi zero è un prioritario interesse nazionale. Ridurre il debito pubblico non è una scelta alternativa agli auspicabili investimenti e creazione di posti di lavoro: ne è la condizione necessaria e neppure sufficiente.
Un’Italia meno indebitata, agisce con più forza. Non abbiamo bisogno d’inseguire le misure in deficit alla Macron, se facciamo la cosa giusta.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi